André Brink se ne è andato sul volo che lo riportava a Cape Town dal Belgio, dove era stato insignito dell’ennesima laurea honoris causa. Aveva 79 anni ed era considerato a ragione un gigante della letteratura sudafricana in lingua afrikaans (e poi anche inglese), una «centrale elettrica letteraria», come lo definiva ieri Shaun de Waal sul Mail & Guardian: scrittore di talento oscillante tra realismo e sperimentazioni post-moderne, drammaturgo, critico letterario, accademico, traduttore di Shakespeare, come di Camus e Saint Exupéry in afrikaans.

Con Breyten Breytenbach, Jan Rabie, Bartho Smith e altri, Brink si distinse nel gruppo dei Sestigers , i «sessantini», dalla decade in cui emerse questo movimento letterario che rivoltava per la prima volta la lingua afrikaans contro l’establishment boero e gli orrori prodotti dal sistema dell’apartheid. I sixties che in Sudafrica furono sì ruggenti, ma di ferocia. Brink visse anche da esule a Parigi nel momento giusto per respirare a pieni polmoni l’aria del Maggio. E una sessantina furono anche le sue opere. Con quel tanto di sesso, humour e politica che da solo innescava la miccia. Tra le tante “onorificenze” che il regime razzista gli riservò, il suo Kennis van die aand (1973) fu il primo libro ad essere censurato da Pretoria, per come affrontava di petto uno dei tanti tabù disponibili su piazza, l’amore tra un coloured e una bianca. Brink venne non solo silenziato, fu bollato come traditore, minacciato negli affetti più cari, oggetto di intimidazioni personali. Ma il bavaglio lo spinse a tradurre il romanzo in inglese (Looking on Darkness) e a cercarsi da quel momento nuovi lettori fuori dal Sudafrica.

Merita di essere sperimentata la forza mobilitante del suo romanzo più noto, A dry white season (Un’arida stagione bianca), del 1979, che narra una storia nella quale trova qualche riscontro anche la vicenda drammatica di Steve Biko. E rivela alla parte sana della società bianca che la lotta anti-apartheid non ha bisogno di (super)eroi, ma di persone normali. Euzhan Palcy ne tirò fuori un film con Donald Sutherland e Marlon Brando nel 1989 che contribuì a moltiplicare la notorietà internazionale di Brink. In italiano si possono leggere anche La prima vita di Adamastor, La polvere dei sogni, Un istante nel vento, La Valle del Diavolo, Desiderio, Ieri è vicino – Scritti sul Sudafrica.

Con le sue pagine Brink cambiò anche il modo in cui Mandela vedeva il mondo da una cella (lo stesso Mandela dixit). Lui contraccambiava Madiba con una certa venerazione, proporzionale alla diffidenza, se non all’ostracismo più radicale, che riservò ai successori. Prima Thabo Mbeki e poi Jacob Zuma sono stati espressione secondo lui di un’«arroganza apocalittica», una deriva liberticida che non rendeva alcuna giustizia alle aspirazioni della Nazione arcobaleno. E anche in questo, è stato difficile dargli torto.