Prima di concludere il suo quinto viaggio mediorientale dall’attacco di Hamas del sette ottobre, e di imbarcarsi su un volo per Washington, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha tenuto altri due incontri – a porte chiuse – a Tel Aviv. In primo luogo con i membri cosiddetti «moderati» del Gabinetto di guerra: gli ex dirigenti delle Idf Benny Gantz e Gabi Eisenkot, a capo del National Unity Party. Con loro Blinken ha discusso, riporta una breve nota del dipartimento di Stato, di strategie per la liberazione degli ostaggi.

NEL CORSO della giornata inoltre è emerso che gli sforzi diplomatici raggiungeranno presto gli stessi Stati uniti: il 12 febbraio, il re della Giordania Abdullah II sarà il primo leader arabo dal 7 ottobre a recarsi in visita nella capitale Usa, dove incontrerà il presidente Joe Biden. L’occasione ufficiale è la celebrazione di 75 anni di rapporti diplomatici tra Washington e Amman, ma come spiega la portavoce della Casa bianca Karine Jean Pierre «il presidente Biden e il re Abdullah II discuteranno inoltre la situazione a Gaza e gli sforzi necessari a produrre una fine duratura della crisi. A questo scopo, i due leader parleranno del sostegno degli Stati uniti al popolo palestinese, inclusa una migliore assistenza umanitaria a Gaza, e una visione per una pace duratura che includa una soluzione a due stati che garantisca la sicurezza di Israele».

Il secondo incontro del segretario di Stato Usa prima della partenza da Israele è stato invece con il leader dell’opposizione ed ex primo ministro Yair Lapid – «il mio amico Yair» lo ha chiamato Blinken in una sottile stoccata a Benjamin Netanyahu, che il giorno prima gli aveva sbattuto in faccia l’apertura alla trattativa con Hamas per porre fine al massacro a Gaza e liberare gli ostaggi. Con lui ha discusso, oltre – «naturalmente» – a «come riportare a casa gli ostaggi», sia «della situazione a Gaza che delle prospettive regionali».

SOLO POCHI GIORNI prima del suo incontro con Netanyahu, un intervento di Nahal Toosi su Politico si chiedeva se Blinken fosse «troppo gentile» per ricoprire il ruolo di segretario di Stato, e auspicava che nei confronti dei «partner» israeliani lasciasse trasparire la «rabbia» emersa nel corso di incontri privati sull’offensiva di Tel Aviv a Gaza.

Una parte di quella rabbia è infine emersa alla conferenza stampa tenuta da Blinken mercoledì sera in seguito all’incontro con Netanyahu, quando ha pronunciato le parole sinora più dure da parte di un funzionario del governo americano nei confronti della guerra condotta da Israele. «Gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orribile che ci sia il 7 ottobre. Gli ostaggi vengono disumanizzati ogni singolo giorno da allora. Ma questo non può consentire la disumanizzazione» dei palestinesi, ha detto Blinken. «La stragrande maggioranza delle persone a Gaza non ha avuto nulla a che fare con gli attacchi del sette ottobre, e le famiglie di Gaza» «sono esattamente come le nostre famiglie. Madri e padri, figli e figlie». «Non possiamo, non dobbiamo dimenticarcelo. Né possiamo dimenticarci la nostra comune umanità».

NONOSTANTE lo sprezzante rifiuto di Netanyahu, Blinken ha anche ribadito la sua apertura alla proposta di cessate il fuoco mediata dal Qatar: «Anche se ci sono dei punti evidentemente inaccettabili» nella proposta di Hamas, «crediamo che questa renda possibile un accordo. E lavoreremo senza sosta finché non lo otterremo». Tornato negli Usa, inoltre, ha evidenziato le sue «preoccupazioni» sul corso delle operazioni militari di Tel Aviv: «Al momento qualunque operazione su vasta scala a Rafah – ha affermato il portavoce della Casa bianca John Kirby – in queste circostanze, senza considerare la sicurezza di oltre un milione di palestinesi che cercano rifugio nella città, sarebbe un disastro, e non la sosterremo».

Intanto a Washington il Senato, dopo la debacle di mercoledì sulla riforma dell’immigrazione che conteneva anche gli aiuti per Ucraina e Israele, ha votato un pacchetto di finanziamenti per i due paesi: 60 miliardi a Kiev, 14 a Tel Aviv. Ben 17 repubblicani, gli stessi che avevano fatto fallire la proposta bipartisan di pochi giorni prima, hanno votato insieme ai democratici.