Una cappa asfittica di omertà, di paura e di collusione. E, intanto, le morti aumentavano. Don Marco Ricci, giovane parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Ercolano, ha così deciso di infrangere il muro di gomma e di incoraggiare il risveglio delle coscienze contro i veleni che la camorra aveva depositato alle pendici del Vesuvio. Amianto, idrocarburi, metalli pesanti, rifiuti speciali. Sotto terra c’era, e c’è ancora, l’inferno.

L’ULTIMO SOS il prete campano l’ha lanciato nel luglio scorso. Quando i piromani hanno messo sotto assedio il territorio con migliaia di roghi tossici. Ma il suo impegno a tutela dell’ambiente e della salute pubblica è una costante della missione sacerdotale. Alcuni anni fa invitò i cittadini a indicare i luoghi d’interramento illegale dei rifiuti. E riuscì, grazie alla confidenza di uno dei suoi fedeli, a segnalare alla procura una discarica con decine di fusti in una cava lavica all’interno del Parco del Vesuvio. Per il suo coraggio e il suo impegno don Marco Ricci è stato premiato, ieri a Casale Monferrato, come «Ambientalista dell’anno». È risultato, infatti, il più votato in Italia in una rosa di otto candidati al «Premio Luisa Minazzi» promosso da Legambiente e dal mensile La Nuova Ecologia.

Minazzi, dirigente scolastico, ecologista, nonché personaggio simbolo della battaglia caparbia che l’intera città piemontese ha ingaggiato per fermare il tumore maligno causato dalla fibra di amianto, è morta sette anni fa, uccisa, appunto, dal mesotelioma pleurico. Non era mai entrata all’Eternit.

DON MARCO ha percorso 850 chilometri per essere presente alla proclamazione nella sala consiliare di Casale. «Non voglio considerarlo un premio alla mia persona ma un riconoscimento a tutta la comunità che si è mobilitata in questi anni. Non può che farmi felice che la nostra storia venga conosciuta a livello nazionale», commenta a caldo il parroco. La lotta iniziò cinque anni fa. «Dopo la morte di un ragazzino di 14 anni per leucemia, con l’aiuto di un medico realizzammo un questionario per analizzare la situazione locale, partecipò il 20% della popolazione e, di questi, l’80% dichiarò di avere in famiglia ammalati o morti di tumore. La situazione era drammatica, era venuto il momento di non tacere più, cosa che considero colpa grave, e di fare comunità. In quel contesto si avvicinò una persona anziana che mi confidò quel che vide trent’anni fa e da lì partì una denuncia con la scoperta di una mega discarica. Fino allora le voci di camion che arrivavano di notte e dai quali colava un liquido nero erano rimaste tali. Era venuto alla luce il marcio. Un pentito di camorra rivelò, poi, la presenza un’altra grande discarica».

IL PARCO DEL VESUVIO è diventato la nuova «terra dei fuochi». Una volta qui crescevano le albicocche del prete, il pomodorino del pennolo e veniva prodotto il famoso vino Lacryma Christi. Oggi, dove c’erano le antiche cave di pietra lavica, c’è una discarica enorme, 15 ettari di estensione, 400 mila metri cubi con rifiuti di ogni tipo: «Quando ci fu il primo rinvenimento ricordo di aver visto pure i bidoni della Montedison». Nel 2015 don Marco invitò a celebrare il Natale denunciando gli sversamenti abusivi di rifiuti e proseguendo la battaglia per l’acqua pubblica. Spesso è accusato di fare politica: «Essere pastore significa essere guida di una comunità» E cita l’operato di Papa Francesco che con l’enciclica «Laudato si’» ha dato un’impronta ambientalista al suo pontificato: «È stato un grande assist perché ha posto la salvaguardia del creato come perno dell’azione di evangelizzazione».

È UNA LOTTA DIFFICILE. «La gente è diffidente, tende a negare, ma la situazione sta cambiando. Danni enormi li ha fatti la malapolitica, abbiamo una classe dirigente incapace sia a livello locale che nazionale, l’attuale amministrazione bada all’immagine, dal Parco nazionale del Vesuvio solo chiacchiere. Pure l’economia locale tende a ostacolare la battaglia, l’idea è sempre la solita, ovvero che i panni sporchi bisogna lavarli in casa». Nonostante le difficoltà, lo scorso giugno è riuscito a organizzare con l’associazione «Salute Ambiente Vesuvio» una grande manifestazione per dire no a rifiuti e roghi tossici. C’erano Alex Zanotelli e don Maurizio Patriciello, con cui la collaborazione è continua. «In tanti – sottolinea – ci avevano chiesto di scendere in piazza dopo aver firmato una petizione per un controllo del territorio, che non esiste, e un serio piano di bonifica. Non abbiamo avuto risposte».

A LUGLIO GLI INCENDI hanno deviato l’attenzione su altro, «dimenticandosi però che qui non ci sono solo i boschi, come in tutta Italia, ma anche le discariche e manca la normale manutenzione del Parco». Come si riesce a superare la paura di parlare e di denunciare? «Il coraggio – sottolinea don Marco – lo trovi stando insieme e uniti, capendo che non si è soli e che c’è una comunità vera e sana. Anche le forze dell’ordine, come la forestale, sono d’aiuto».

VENIRE A CASALE è un po’ come andare alla radice del problema, qui si fabbricava l’amianto che è stato sotterrato nelle cave del Vesuvio. In questa città si è affrontata la più importante mobilitazione contro l’Eternit, un movimento tenace che chiede giustizia da quasi quarant’anni. Gli altri candidati al Premio Minazzi erano Antonello Brunetti di Castelnuovo Scrivia, il padre del movimento contro il Terzo Valico, Isabella Conti il sindaco anticemento di San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna, Cristina Gerardis l’ex direttore generale della Regione Abruzzo impegnata nella lotta all’inquinamento, il Goel, gruppo di imprese etiche operanti in Calabria, il giornalista del programma di RaiTre I dieci comandamenti Domenico Iannacone, la mamma green blogger Linda Maggiori e il Manzella Quartet, un gruppo di musicisti che utilizza materiali di riciclo. Per la prima volta accanto al Premio Minazzi si svolge il «Festival della virtù civica», con tavole rotonde e proiezioni, che continua fino al 5 dicembre.