Altro che «il più grande investimento della storia per la salute degli italiani», come ama dire Giorgia Meloni. La crisi del servizio sanitario uscito a pezzi dalla pandemia non verrà risolta ma aggravata dalle politiche sanitarie della destra. Lo sostengono 75 società scientifiche di medici ospedalieri di ogni specializzazione che ieri hanno tenuto a Roma una conferenza stampa sul tema. Durante l’emergenza Covid – ha spiegato il coordinatore del Forum delle società Francesco Cognetti – il numero dei posti letto è diminuito da 257.977 nel 2020 a 225.469 nel 2022. I 1091 ospedali del 2012 si sono ridotti a 966 nel 2022, e i due terzi delle chiusure hanno riguardato ospedali pubblici. E poi c’è la questione dei soldi, su cui il governo prova spesso a fare il gioco delle tre carte: «Nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021» ammettono i medici. «Ma è diminuito rispetto al PIL ed eroso in modo molto consistente dalla maggiore inflazione. Inoltre, queste risorse sono state in larga parte utilizzate per aumenti contrattuali irrisori del personale, che non sono in grado di contenere l’esodo dei medici». Dunque, in termini reali, per la salute ci sono meno soldi di prima.

Che i soldi non bastino è dimostrato dalla vicenda dei Livelli essenziali di assistenza, cioè i servizi sanitari imprescindibili che le Regioni devono garantire ai propri cittadini. Da anni è pronta la nuova lista dei Lea, che alza il numero di prestazioni a cui ogni cittadino ha diritto indipendentemente dal luogo di residenza. Ma anche quest’anno l’introduzione è stata rimandata al 2025 per carenza di risorse. E ora le società scientifiche temono le nuove spinte alla devolution, con il possibile varo dell’Autonomia differenziata.

Preoccupa anche la carenza di personale, che oggi costringe le Asl ad assumere specializzandi (quelli che non sono ancora scappati all’estero). «Nei prossimi 7 anni – spiegano i medici – saranno 30mila i medici in più, ma i tempi sono troppo lunghi». Dunque servono interventi «urgenti»: fine del numero chiuso nelle facoltà, aumenti retributivi per i settori più faticosi (pronto soccorso e rianimazione, per i quali i concorso rimangono deserti) e stop al tetto di spesa per i personale, che porta a spendere soldi per i medici «gettonisti» acquistati sotto la voce di bilancio dei «beni e servizi».

Senza queste misure si rischia la «desertificazione sanitaria», denuncia anche l’associazione Cittadinanzattiva che da anni monitora i servizi a disposizione dei cittadini. Ieri ha presentato i dati in occasione della diciottesima Giornata europea dei diritti del malato. «Desertificazione» significa che in alcune aree trovare un medico è già un’impresa. E non è un problema solo del sud. A livello nazionale c’è un ginecologo ospedaliero ogni quattromila abitanti, ma a Caltanissetta solo uno ogni 40 mila. Pure negli ospedali della provincia Bolzano però ci sono due cardiologi in tutto, cioè uno ogni 224 mila abitanti (e non uno ogni seimila, la media italiana). In Brianza ci sono 18 mila cittadini senza medico di famiglia e la provincia con meno pediatri rispetto al numero di bambini è quella di Asti. «La carenza di servizi sul territorio, la penuria di alcune specifiche figure professionali, la distanza dai luoghi di salute in particolare nelle aree interne del Paese, periferiche e ultraperiferiche, rappresenta un elemento di disequità nell’accesso alle cure e alle prestazioni che va affrontato attraverso un’alleanza tra istituzioni, professioni sanitarie e cittadini» commenta Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. All’allarme si unisce anche il sindacato di medici Anaao-Assomed, che denuncia le disuguaglianze territoriali per i servizi sociali: «a Bolzano si spendono 583 euro per abitante, a Messina 53» dice Pierino Di Silverio. «Rischiamo la disgregazione sociale». «I Lea – prosegue – non sarebbero più in capo al ministero della Salute, ma rientrerebbero nelle competenze delle Regioni. Questo significa che ogni Regione potrebbe decidere quali prestazioni erogare gratuitamente e quali no. Si potrebbe arrivare al paradosso per cui una determinata visita potrebbe essere gratuita in Lombardia e a pagamento in Calabria».