Dopo la sosta obbligata del 2020, si tiene in questi giorni al parco del Retiro a Madrid l’annuale Feria del Libro: un ritorno molto atteso dalle case editrici e da lettrici e lettori, a giudicare dalla folla che – riportano i media spagnoli – ha affollato fin dall’apertura la manifestazione.

Qui come in altri paesi, Italia inclusa, «il settore editoriale ha temuto il peggio», scrive su El Cultural Fernando Díaz de Quijano, «ma la pandemia ha aumentato i tassi di lettura», tanto che alla fine dell’anno scorso, nonostante le chiusure prolungate, «le librerie indipendenti hanno perso solo l’8% delle loro entrate». E le cifre per la prima metà del 2021 sono più che incoraggianti: «Secondo i dati della società di consulenza Gfk resi pubblici al recente Forum Edita di Barcellona, il fatturato dell’editoria è cresciuto del 44% rispetto al 2020 e si prevede che quest’anno raggiungerà un fatturato di 1.1 miliardi, la migliore cifra in un decennio».

Saggiamente, però, gli esponenti della filiera del libro preferiscono contenere l’entusiasmo e puntare invece l’attenzione sugli aspetti più problematici e sulle questioni aperte, dalla digitalizzazione alla bibliodiversità. Questi due temi in particolare hanno dominato un incontro che si è tenuto all’interno della fiera in occasione della presentazione del Rapporto sullo stato della cultura in Spagna della Fundación Alternativas, a cui hanno partecipato tra gli altri Manuel Gil, direttore della stessa Feria, e María José Gálvez, attualmente a capo del Libro y fomento de la lectura, un organismo collegato al ministero spagnolo della cultura.

Decisamente interessante il taglio con cui Inma Ballesteros, curatrice del rapporto, ha affrontato il nodo della digitalizzazione, che spesso «viene fraintesa, perché la si associa solo agli e-book e agli schermi, cioè al formato del prodotto». In realtà, ha detto Ballesteros, «la digitalizzazione è un fenomeno che riguarda pure i processi lavorativi e i canali di marketing e distribuzione». Il risultato è che negli ultimi anni si è registrata «una distruzione creativa di posti di lavoro», mentre in parallelo è stato necessario organizzare corsi di formazione, dal momento che «diversi compiti sono stati sostituiti da altri più digitalizzati che richiedono competenze differenti».

A quanto pare, però, le case editrici spagnole nel complesso si sono rivelate pronte ad adeguarsi al cambiamento, anche se uno sguardo ravvicinato rivela notevoli differenze in un settore che, nota ancora Fernando Díaz, «è dominato da due grandi gruppi» (Planeta e Penguin Random House Grupo Editorial, ndr) e che al tempo stesso ha conosciuto a partire dal 2000 un’esplosione dell’editoria indipendente – «uno dei fenomeni più significativi nel settore del libro nel XXI secolo», ha sottolineato nell’incontro madrileno Ana Gallego, docente di letteratura latinoamericana all’università di Granada. E sono naturalmente i più piccoli ad arrancare nella corsa alla digitalizzazione.

In compenso, sostiene Gallego, sono proprio le case editrici indipendenti a fare di più per rendere vario e ricco l’ecosistema del libro in Spagna, dando spazio a generi meno visibili come la poesia e il teatro. Una posizione che non convince Manuel Gil, secondo cui la bibliodiversità caratterizza trasversalmente tutta l’editoria spagnola, che si tratti di grandi gruppi o di sigle minuscole. Ne sarebbe una prova, tra l’altro, la nascita nel 2020 – in piena pandemia – di un numero di case editrici maggiore rispetto all’anno precedente: un boom misterioso a cui nessuno dei partecipanti alla tavola rotonda ha saputo trovare spiegazioni. Toccherà indagare.