Polonia e Israele di nuovo ai ferri corti a più di due anni dalla contestata «legge sulla Shoah», sulla quale poi Varsavia aveva fatto parzialmente dietrofront. La nuova misura prevede che gli eredi degli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale in territorio polacco avranno 30 anni, e non un lume di più, per contestare le decisioni dei tribunali amministrativi sulla riassegnazione delle proprietà sottrattegli sotto l’occupazione tedesca.

Il provvedimento approvato dal Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, ha suscitato l’ira di Israele. «Una vergogna che danneggia i rapporti tra i due paesi», ha scritto su Twitter il ministero degli Esteri israeliano Jair Lapid. A destare le maggiori preoccupazioni della controparte israeliana, l’impatto che la proposta di legge potrebbe avere sulle richieste di risarcimento per i beni espropriati agli ebrei residenti in Polonia da parte di occupanti e collaborazionisti durante la guerra.

AD APRIRE LE DANZE delle convocazioni domenica scorsa era stato Israele, convocando l’ambasciatore polacco a Tel Aviv Marek Magierowski. Poi è stato il turno di Varsavia a cui non erano andate giù le esternazioni di Lapid. L’incontro a Varsavia tra la chargée d’affaires Tal Ben-Ari Yaalon e il viceministro degli esteri polacco Paweł Jabłoński, avvenuto il giorno successivo, è servito soltanto a confermare il solco diplomatico che separa i due paesi: «Dobbiamo accettare che il dibattito politico in Israele è dominato da due atteggiamenti, uno di critica verso la Polonia e un altro, invece, semplicemente “antipolacco”», ha dichiarato Jabłonski, precisando che il provvedimento prende le mosse da un pronunciamento di sei anni fa del Tribunale costituzionale, allora non ancora controllato dall’attuale governo della destra populista di Diritto e giustizia (Pis).

«Nel caso in cui i politici israeliani continuassero a evocare la questione dell’Olocausto, assente da questo provvedimento, sarei propenso a ritenere che sia dovuto a una mancanza di conoscenza dei fatti», ha poi aggiunto il numero due del dicastero degli Esteri polacco. Difficile questa volta che il Pis possa tornare indietro soltanto per mantenere buone relazioni con Israele, come accadde con la legge, poi fermata, che vietava di attribuire alla nazione polacca una qualsiasi forma di corresponsabilità nell’Olocausto.

IL CORPO DIPLOMATICO statunitense di stanza a Varsavia la settimana scorsa ha lasciato intendere di non gradire una proposta di legge contraria agli interessi di Israele. Eppure, questa volta, non è arrivata una condanna ferma da parte della comunità internazionale, o almeno non ancora. D’altro canto, la proposta di legge ha trovato un sostegno trasversale alla camera bassa polacca, nonostante l’astensione in massa dei deputati di centro-destra di Piattaforma civica (Po) dell’ex Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

La questione della reprywatyzacja dei beni espropriati durante il secondo confitto bellico o nazionalizzati ai tempi del socialismo di stato resta un tema caldo e delicato. Dalla caduta del muro di Berlino tutti i maggiori partiti polacchi si sono ritrovati prima o poi invischiati in scandali o accuse di corruzione legati a risarcimenti, compravendita e privatizzazione di immobili e terreni.

AL SEJM LA COALIZIONE guidata dal Pis ufficialmente non ha più la maggioranza da venerdì scorso dopo la dipartita di tre parlamentari eletti tra le file del partito guidato da Jarosław Kaczynski. Stessa musica al Senat, la camera alta del parlamento, dove l’iter del provvedimento dovrebbe proseguire senza intoppi entro il mese prossimo. Le parole del primo ministro Mateusz Morawiecki lasciano spazio a pochi dubbi: «Fino a quando sarò io il premier, la Polonia non pagherà non uno złoty, non un euro, non un dollaro per i crimini tedeschi».

Intanto, lontano dai corridoi della politica e della diplomazia, l’antisemitismo è un fenomeno che esiste e resiste in Polonia anche tra i giovani. Ieri la polizia ha fermato tre adolescenti nella città di Bielko-Biała in Silesia con l’accusa di aver devastato sabato scorso una settantina di tombe in un cimitero ebraico cittadino risalente alla metà dell’Ottocento.