La notizia di un focolaio di influenza aviaria in un allevamento di visoni in Spagna agita i virologi. «È incredibilmente preoccupante» dice alla rivista Science il virologo Tom Peacock dell’Imperial College di Londra. «È un chiaro meccanismo di innesco di una pandemia di influenza H5». Il rischio di uno scenario catastrofico – per ora solo un rischio, è bene ribadirlo – è suggerito da una ricerca pubblicata sull’ultimo numero della rivista Eurosurveillance da un gruppo di ricerca italo-spagnolo. I ricercatori dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Legnano e del Laboratorio centrale di veterinaria di Madrid hanno identificato nel virus dell’influenza aviaria denominato H5N1 la causa di un picco di mortalità rilevato nello scorso ottobre tra i visoni allevati a scopo di pelliccia a Carral, nella regione spagnola della Galizia. Il focolaio dimostra che il virus ha acquisito la capacità di trasmettersi da mammifero a mammifero, un evento finora mai osservato e che allarma virologi e autorità sanitarie. L’ipotesi che presto o tardi l’epidemia possa riguardare anche gli umani non è più così remota.

Finora il virus dell’influenza aviaria, la cui variante H5N1 circola da almeno un ventennio, si era diffuso solo tra gli uccelli selvatici e da allevamento, e aveva toccato i mammiferi sono per diretto contatto con volatili infetti. Dal 2003 a oggi il contagio ha riguardato anche l’essere umano, con 868 casi di cui 457 mortali (53% di letalità), ma solo per il contatto diretto con gli uccelli. Dal 2020, con la comparsa della variante denominata 2.3.4.4b, casi di H5N1 sono stati osservati anche in volpi, procioni, orsi e foche. Il contagio tra i visoni di Carral, tuttavia, segna un salto di qualità: «i visoni – scrivono i ricercatori – sono suscettibili sia al virus dell’influenza aviaria che a quello dell’influenza umana, e questo suggerisce che la specie possa servire da serbatoio per la circolazione del virus tra uccelli, mammiferi e umani». Isabella Monne, una degli autori dello studio parla di un «campanello d’allarme». «Siamo in un territorio inesplorato» concorda Wendy Puryear della Tuft university di Medford (Massachusetts, Usa) sulla rivista Nature.

Oltre alla preoccupazione, dalla comunità scientifica arriva anche qualche rassicurazione. Per il momento, il focolaio di ottobre non sembra essersi ripetuto altrove. Tutti i 52 mila animali presenti nell’allevamento sono stati abbattuti e i test effettuati su i lavoratori entrati in contatto con loro sono risultati negativi. Se malauguratamente il virus dovesse diffondersi tra gli umani, un vaccino contro l’influenza aviaria è già disponibile. Altri, più specifici, possono essere sviluppati in tempi relativamente brevi: i vaccini anti-influenzali vengono già aggiornati ogni anno a seconda delle varianti circolanti nelle ondate stagionali dell’influenza umana. Inoltre, disponiamo anche di farmaci anti-virali sebbene la loro efficacia (come quella dei vaccini) non arrivi al 100%. Il caso di Carral, tuttavia, è l’ennesimo segnale sui rischi ambientali e sanitari derivanti dall’allevamento intensivo. Scienziati e movimenti ambientalisti ne chiedono una limitazione a livello globale anche per le conseguenze climatiche. Nel caso dell’industria della pelliccia, dal 2022 l’Italia ha definitivamente vietato questo tipo di allevamenti.

L’allarme che arriva dalla Spagna consiglia di mantenere efficiente la rete sanitaria deputata alla prevenzione e al contenimento delle malattie infettive, uscita malconcia dalla pandemia di Covid. Una bozza pubblicata da Quotidano Sanità rivela che il ministero sta per pubblicare il nuovo Piano Nazionale per la Prevenzione Vaccinale 2023-2025, in cui sono fissati gli obiettivi per il prossimo triennio. Alcuni sono prevedibili: il mantenimento dello status di paese «polio-free», l’eliminazione di morbillo e rosolia a livello nazionale, l’innalzamento al 95% della copertura dei principali vaccini pediatrici e al 75% di quella relativa ai vaccini per anziani (pneumococco e influenza).

Le novità riguardano le criticità emerse nella pandemia, come le disuguaglianze territoriali nella copertura vaccinale. L’«anagrafe vaccinale nazionale» prevista dal piano dovrebbe aiutare a fotografare la situazione. L’altra novità riguarda la gestione dell’esitazione vaccinale nella
popolazione adulta, un fenomeno poco studiato prima della pandemia. Nel documento, il problema viene messo in relazione «alla delicata questione degli eventi avversi alla vaccinazione, veri o presunti, e alla necessità di un approccio integrato per una loro adeguata gestione, sia per la sicurezza della popolazione (laddove il rischio sia plausibile), sia per evitare strumentalizzazioni (in caso di assenza di correlazione causale) che finirebbero con il mettere in pericolo la sicurezza collettiva».