Maduro non è Chávez: non ne ha il carisma né la statura politica. Ma con lui – sconfitto unicamente dal cancro – un punto in comune ce l’ha: la forza di resistere agli attacchi dei nemici. Sopravvissuto finora alle guarimbas, ai tentativi di destabilizzazione, alle campagne di discredito, alle sanzioni e a una drammatica e infinita crisi economica, Maduro è uscito illeso anche dall’attentato di sabato.

«Con me, con noi – ha dichiarato Maduro – non ce l’hanno fatta e non ce la potranno fare. Continueremo a seguire la strada di una patria che vuole sviluppo, pace e prosperità».

Di tutto questo, però in Venezuela oggi c’è ben poca traccia. Se a più di due mesi dalle elezioni presidenziali la situazione di crisi non è cambiata (a parte l’aumento del prezzo del petrolio oltre i 70 dollari al barile), il governo si rivela ancora incapace di elaborare un vero progetto di Paese e un progetto coerentemente (eco)socialista.

Né esistono molte aspettative sul nuovo pacchetto di misure economiche annunciato di recente da Maduro, che prevede, tra l’altro, l’eliminazione di cinque zeri dal valore della moneta nazionale, la flessibilizzazione del controllo del cambio per incentivare gli investimenti stranieri e l’eliminazione delle imposte alle importazioni (beni di capitale e materie prime) allo scopo di riattivare l’apparato produttivo (ma che può tradursi in un nuovo trasferimento di reddito al settore privato).

Così non stupisce che ad accendere l’interesse e la speranza dei movimenti popolari non sia stato il Congresso del Psuv, con la scontata riconferma per acclamazione di Maduro alla presidenza e di Diosdado Cabello alla vicepresidenza, e con l’attribuzione al presidente della facoltà di designare i membri della direzione nazionale, ma la marcia admirable (come la celebre campagna militare di Bolivar) promossa da movimenti contadini, comuni e piccoli produttori che, dal 12 luglio all’1 agosto, hanno percorso a piedi più 400 chilometri, da Guanare fino a Caracas, per rivendicare un altro modello di agricoltura.

Abbandonati dal governo – di cui criticano la politica del ministero dell’Agroindustria a favore dei grandi proprietari – ed esposti alle violenze dei latifondisti (tre dirigenti sono stati assassinati a Barinas proprio al termine della marcia), i contadini sono riusciti a farsi ricevere dal presidente, in una riunione trasmessa dalla rete nazionale, ottenendo il suo impegno a restituire loro tutte le terre distribuite da Chávez, a dare una risposta ai tanti casi di persecuzione giudiziaria, a operare una revisione delle leggi in materia agricola e a stabilire un’alleanza produttiva con i settori contadini