In Bolivia non c’è scampo per i golpisti. Poco più di sei mesi dopo la condanna della ex presidente de facto Jeanine Áñez a 10 anni di reclusione per «atti contrari alla Costituzione e inadempimento dei doveri», è arrivato il turno anche dell’altro indiscusso protagonista del colpo di stato del 2019 contro Evo Morales: il leader dell’opposizione, oggi governatore di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho, arrestato mercoledì dalla polizia e trasferito in elicottero a La Paz.

L’accusa è quella di terrorismo, sedizione e cospirazione, nell’ambito del processo “Golpe I” che indaga proprio sui fatti di violenza che portarono alle dimissioni forzate e alla fuga dell’ex presidente.

IN QUEI FATTI, nessuno è stato forse più decisivo dell’allora leader del Comitato civico di Santa Cruz, che con il suo carisma e il suo radicalismo aveva presto oscurato le altre figure dell’opposizione. Indimenticabile lo show da lui messo in atto pochi minuti prima della rinuncia di Morales, quando era entrato nell’antica sede del governo, il Palazzo Quemado, per depositarvi una bibbia insieme a una bandiera boliviana, simboli, nelle sue mani, di un potere coloniale a cui gli oppositori avrebbero poi reso tante volte omaggio dando fuoco alla whipala, la bandiera dei popoli nativi.

Non è stato, l’arresto di Camacho, un fulmine a ciel sereno. Non solo l’ordine di detenzione risaliva a ottobre ed era stato convalidato da un giudice del Tribunale penale, ma il governatore, che si è avvalso della facoltà di non rispondere, era anche ben consapevole delle accuse per le quali risulta imputato. Contro di lui, il procuratore Omar Mejillones ha ora chiesto sei mesi di carcere preventivo, a fronte di un concreto «pericolo di fuga e di inquinamento delle prove».

Ma se la giustizia sta facendo il suo corso – peraltro con una lentezza assai criticata dalle vittime del golpe – la detenzione di Camacho non è indolore. Un’ondata di violenza si è infatti scatenata a Santa Cruz, da sempre bastione della ricca élite bianca di estrema destra, dove i manifestanti si sono scontrati con la polizia, dando anche alla fiamme l’ufficio della procura regionale e occupando l’aeroporto di Viru Viru per impedire che Camacho venisse condotto a La Paz.

«Oggi sono stato rapito dalla giustizia del Mas – ha dichiarato il governatore sulle reti sociali – La mia unica colpa è aver difeso la democrazia e, insieme a un popolo unito, aver fermato i brogli. Non ho paura della prigione della dittatura. Difenderò sempre Santa Cruz e la Bolivia, difenderò la democrazia e difenderò il cammino federale».

LA SUA SINGOLARE concezione di democrazia non è emersa, tuttavia, solo durante il golpe. Dal momento in cui il popolo boliviano la democrazia, quella vera, l’aveva riscatta trionfalmente alle elezioni del 18 ottobre del 2020, Camacho si era dato molto da fare per recuperare potere.

E si era subito preso una rivincita alle elezioni regionali del 6 marzo del 2021, quando aveva conquistato al primo turno il dipartimento di Santa Cruz, superando nettamente (55% contro 17%) la candidata del Mas Adriana Salvatierra, peraltro poco gradita a una parte della base, che non le aveva perdonato di aver spianato la strada, con le sue dimissioni dalla presidenza del Senato, all’autoproclamazione di Jeanine Áñez.

Una vittoria, la sua, che aveva provocato tra l’altro non poche polemiche tra la base del Mas, convinta che la giustizia avrebbe dovuto impedire a un protagonista del golpe di prendere parte al processo elettorale.

E la gravità di quell’errore non avrebbe tardato a rivelarsi con i successivi tentativi di destabilizzazione messi in atto da Camacho, l’ultimo dei quali è andato in scena, a partire dal 22 ottobre scorso, intorno alla data del prossimo Censimento della popolazione e delle abitazioni, dai cui risultati dipendono la distribuzione delle risorse e l’assegnazione dei seggi parlamentari per le elezioni generali del 2025.

Per 36 interminabili giorni, il Comitato civico di Santa Cruz, sostenuto da Camacho, ha paralizzato la regione, con il pretesto di anticipare la data del censimento alla fine del 2023, commettendo violenze e aggravando le condizioni economiche dei lavoratori più vulnerabili, oltre a spingere all’angolo il governo Arce.

Finché il parlamento, il 30 novembre scorso, non ha raggiunto un compromesso fissando la data del censimento al 23 marzo del 2024, in tempo utile perché i suoi risultati vengano applicati prima delle elezioni.

Ma neppure la fine delle proteste è stata gratis per il governo Arce. L’accordo sulla data del censimento, infatti, ha aggravato a tal punto la frattura tra i sostenitori del presidente e del suo vice Choquehuanca (i cosiddetti rinnovatori) e i seguaci di Morales (i cosiddetti evisti) che tra le due fazioni si è arrivati persino alle mani.

SE INFATTI MORALES ha definito la legge sul censimento nient’altro che «il patto di impunità» fra i traditori del Mas, i rinnovatori appunto, e la destra golpista, si tratta solo dell’ultimo attacco sferrato dall’ex presidente al governo del suo ex delfino Luis Arce, colpevole di non prestare ascolto alle sue richieste.

Tra accuse di narcotraffico, di corruzione e di tradimento lanciate all’ala rinnovatrice, l’ex presidente è arrivato persino a denunciare, ma senza altra prova che un foglio senza firme, un presunto complotto orchestrato dalle forze armate contro di lui e i suoi più fedeli seguaci, con la complicità di alcuni ministri e persino del vicepresidente Choquehuanca, quest’ultimo, peraltro, ripetutamente attaccato dall’ala evista.

È sullo sfondo dell’ormai insanabile frattura tra le due fazioni, con il rischio sempre più concreto di una doppia candidatura, di Arce e di Morales, alle prossime presidenziali, che si è consumato l’arresto di Camacho, almeno questo voluto tanto dall’una quanto dall’altra corrente, sebbene anche su tale punto non siano mancati gli attacchi incrociati.

Se un evista di ferro come l’ex ministro della presidenza Juan Ramón Quintana aveva infatti accusato il governo di sacrificare la giustizia alla governabilità, esitando sull’arresto del governatore, il rinnovatore Freddy Bobaryn gli aveva risposto per le rime: «Questi ex sono gli idioti decerebrati che non hanno saputo prevenire il golpe, che hanno sottostimato le mobilitazioni dei fascisti, che non hanno arrestato Camacho quando dovevano e non gli hanno impedito di candidarsi».