Guerra e diplomazia, bombardamenti e tavoli negoziali. Il conflitto afghano continua a procedere su due coordinate parallele, creando cortocircuiti letali. Mentre l’Onu certifica che quest’anno, per la prima volta, le vittime causate dalle forze internazionali e pro-governative sono state di più rispetto a quelle provocate dai Talebani, a Mosca va in scena un inedito incontro trilaterale.

SIGNIFICATIVO, forse determinante per le sorti della guerra. Ieri infatti a Mosca si sono incontrati i rappresentanti speciali per l’Afghanistan di Cina, Russia e Usa. Washington sembra aver cambiato idea. Se fino a poche settimane fa denunciava l’attivismo diplomatico russo sul fronte afghano – dialoghi ripetuti con i Talebani, un recente incontro a Mosca tra i Talebani e i più importanti politici afghani all’opposizione del presidente Ashraf Ghani – come un tentativo di intromettersi nel processo negoziale guidato dagli Usa, oggi pare aver accettato l’idea che non c’è soluzione possibile, senza un confronto regionale.

L’incontro di Mosca, oltre a riconoscere il ruolo dei padroni di casa, serve a mettere d’accordo i tre pesi massimi sui passi da compiere per portare a casa un accordo di pace. Ma anche a mostrare ai Talebani che la strada del dialogo politico ormai è imboccata e occorre andare fino in fondo, a dispetto dei passi falsi. Come il pasticciaccio brutto di pochi giorni fa, quando la delegazione di afghani che avrebbe dovuto incontrare esponenti dei Talebani a Doha, in Qatar, è rimasta a sorpresa a Kabul.

I Talebani all’ultimo hanno infatti deciso di boicottare l’incontro, perché la delegazione – 250 rappresentanti – era considerata troppo filogovernativa e troppo numerosa: «non è un matrimonio», hanno detto con facile ironia i barbuti.

I quali però mandano a dire che sono pronti a riprendere il dialogo (forse a metà maggio) con gli americani e con gli attori regionali, dando così seguito agli incontri dei mesi scorsi, grazie ai quali l’inviato speciale del presidente Trump, Zalmay Khalilzad, ha ottenuto un accordo di massima su due temi: il ritiro delle truppe straniere in cambio della garanzia dei barbuti che il Paese non venga usato da attori del jihadismo a vocazione globale. Accusato dal Consigliere afghano per la sicurezza nazionale di cercare un accordo al ribasso per il proprio tornaconto personale, l’afghano-americano Khalilzad continua a ripetere che il negoziato con i barbuti riguarda anche altri due aspetti: un cessate il fuoco e il dialogo con il governo afghano, per ora escluso dalle consultazioni.

ED È TORNATO A INVOCARE il cessate il fuoco anche due giorni fa, subito dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto di Unama, l’agenzia dell’Onu a Kabul, sulle vittime civili. I dati delle Nazioni unite, riferiti ai primi 4 mesi del 2019, sono clamorosi. Le forze anti-governative (Talebani e «Provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico) hanno provocato 227 morti e 736 feriti, con una riduzione del 36% rispetto all’anno scorso.

Quelle governative – forze afghane e statunitensi – hanno causato invece 305 morti e 303 feriti, con un incremento del 39% rispetto all’anno scorso. In sintesi: gli attori che dovrebbero proteggere la popolazione sono quelli che mietono più vittime. Sul fronte afghano, le vittime dipendono perlopiù dalle operazioni speciali condotte dai servizi segreti (Nds) e dalla cosiddetta Khost Protection Force, entrambe sostenute dagli americani.

SUL FRONTE INTERNAZIONALE, la causa maggiore sono le operazioni aeree. In totale, nel Paese sono state 43 nei primi mesi del 2019, ben 39 condotte dalle forze internazionali. Tradotto in vite umane: 140 morti, 79 feriti. Metà donne e bambini, dice l’Onu. «Numeri incredibili», ha dichiarato l’inviato dell’Onu a Kabul, Yamamoto, che per alcune fonti talebane ieri avrebbe incontrato a Doha mullah Baradar, capo della delegazione degli studenti coranici che ha il compito di negoziare la pace. Qui a Kabul, invece, il presidente Ghani punta tutto sulla Loya Jirga per la Pace, la grande assemblea consultiva che dal 29 aprile vedrà riuniti per 3 giorni quasi 3.000 delegati da tutto il paese. Per lui, è l’occasione per ascoltare le richieste della società. Per i suoi oppositori politici, è soltanto una grande operazione di propaganda di Ghani in vista delle elezioni presidenziali di settembre.