«Quello che facciamo è cercare soluzioni concrete dove è possibile, anche in Ucraina» dice il Segretario generale dell’Onu nel presentare alla stampa la 77ma sessione dell’Assemblea generale dell’Onu. Evento che entrerà nel vivo martedì col primo discorso affidato, come vuole il cerimoniale, al Brasile.

Nel suo discorso Guterres ha parlato del clima, degli interventi umanitari, dell’egoismo dei Paesi ricchi e anche, seppur velatamente, del Consiglio di sicurezza cercando di rilanciare il ruolo sempre più in salita di un’Organizzazione paralizzata dal veto e dal potere che nessun Paese vuol cedere al Palazzo di Vetro. I problemi sono tanti e grandi, a partire dall’Ucraina (al posto di Putin ci sarà Lavrov). Ma ce ne sono di (apparentemente) secondari che si riferiscono ad altre guerre. Meno mediatizzate ma non meno atroci di quella che si combatte in Europa.

È il caso ad esempio del Myanmar o dell’Afghanistan. In quest’ultimo la guerra è finita ma il regime dei Talebani, non avendo avuto alcun riconoscimento internazionale, non è rappresentato e il seggio all’Onu gli è stato rifiutato. Nel primo la guerra invece è materia quotidiana ma ancora non si è deciso se a rappresentare i birmani debba esserci il vecchio ambasciatore o quello che vorrebbe la giunta militare, cui però il seggio all’Onu è stato negato e resta vacante.

I casi sono molto diversi sotto il profilo diplomatico: a Kabul i diplomatici se ne sono andati se non per un pugno di ambasciate – tra cui Cina e Russia – rimaste aperte. In Myanmar invece i diplomatici sono rimasti: in una sorta di limbo di cui è lo specchio la decisione sul rappresentante-Paese all’Onu.

Se i Talebani hanno le loro note difficoltà a dialogare con gli altri, anche perché non hanno interlocutori nel Paese, per il Myanmar ci pensa la società civile e le tante sigle della diaspora che, in tutto il mondo, non smettono di ricordare le stragi quotidiane, l’illegalità e del golpe e, dunque, il diritto dell’ambasciatore U Kyaw Moe Tun a essere il Rappresentante permanente all’Onu per il Myanmar. In Italia si troveranno oggi a Milano per manifestare in centro dopo aver scritto al ministro Luigi Di Maio, cui la Comunità birmana in Italia ha chiesto in una lettera il sostegno politico di Roma perché si riconfermi U Kyaw Moe Tun. La questione è delicata.

La decisione sulle candidature è in mano al Comitato per le credenziali cui spetta la scelta su chi o meno debba rappresentare un Paese. Se per l’Afghanistan la cosa è complicata dal fatto che non esiste nemmeno un governo in esilio, nel caso birmano, l’ambasciatore nominato dal vecchio esecutivo capeggiato da Aung San Suu Kyi è stato riconfermato dal Governo di unità nazionale, il governo ombra che rappresenta i parlamentari eletti nel novembre 2020 ed esautorati dal golpe del febbraio 2021. Governo che però nessuno riconosce. I nuovi membri del Comitato delle credenziali sono Angola, Austria, Guyana, Maldive, Uruguay e Zambia ma ci sono anche i membri permanenti di Usa, Cina e Russia. Questi ultimi due vicini alla giunta militare.

L’ultima parola spetta teoricamente all’Assemblea ma non sarebbe la prima volta che si lascia in stallo la candidatura e il seggio vacante. Il caso scotta e Guterres, nel suo discorso, ha preferito evitare il dossier come potrebbero fare anche i Paesi membri rimandando la decisione.