I Talebani conquistano un secondo capoluogo di provincia, mentre la rappresentante speciale dell’Onu per l’Afghanistan parla con preoccupazione di «una nuova fase, più sanguinosa e drammatica» del conflitto, simile a quanto già visto in Siria e molti anni prima a Sarajevo.

Sono notizie particolarmente drammatiche quelle che arrivano dal Paese centro-asiatico a tre settimane dal ritiro completo delle truppe americane, previsto entro la fine di agosto. Dopo aver conquistato venerdì Zaranj, capoluogo della provincia di Nimruz, al confine con l’Iran, ieri i Talebani hanno annunciato la conquista di un altro capoluogo.

Si tratta di Shiberghan, nella provincia settentrionale di Jawzyan. Le truppe e le autorità governative si sono asserragliate nell’aeroporto cittadino. Il resto della città, da molti giorni contesa come raccontato su questo giornale, è nelle mani dei militanti islamisti.

La conferma della conquista è stata data da Qader Madia, vice-governatore della provincia che confina con il Turkmenistan e da cui passano importanti corridoi commerciali verso l’Asia centrale.

Nelle scorse ore sono intensificati gli scontri anche intorno alla città di Kunduz, nell’omonima provincia settentrionale. Kunduz in passato è già finita sotto il controllo talebano, ma per periodi brevi. Ora i Talebani tentano di riprenderne il controllo, consolidando la presa sul nord del Paese.

L’offensiva militare territoriale iniziata tra metà aprile e inizio maggio, quando il presidente Biden ha confermato il ritiro delle truppe, è partita proprio dal nord portando alla progressiva occupazione di molti distretti.

Mossa strategica preventiva che serviva a impedire la nascita della «seconda resistenza», quella seconda «Alleanza del nord» che avrebbe dovuto contrastare l’avanzata degli studenti coranici, come negli anni Novanta. La conquista di Shiberghan, città simbolo dell’ex signore della guerra e ora maresciallo Abdul Rashid Dostum, segnala l’efficacia della mossa preventiva dei Talebani.

Rientrato pochi giorni fa dall’estero, Dostum si fa fotografare ogni giorno in tenuta militare nelle riunioni con il presidente Ashraf Ghani o con gli altri ex leader jihadi. Ma appare impotente, come i Talebani non smettono di ricordare nella loro campagna di propaganda. E Yar Mohammad Dostum, il figlio lasciato a combattere sul campo, si è dovuto ritirare.

L’offensiva militare sulle città segnala una nuova fase del conflitto, con lo spostamento della guerra nei centri urbani. Zaranj e Shiberghan sono cittadine di modeste dimensioni, ma importanti città del Paese, come Kandahar ed Herat, sono sotto assedio da giorni.

Si continua a combattere anche dentro Lashkargah, capoluogo della provincia meridionale dell’Helmand, stretta tra i bombardamenti dall’alto e gli scontri dal basso. Proprio ieri Emergency, che a Lashkargah gestisce dal 2004 un ospedale per feriti di guerra, ha ribadito che le strutture sanitarie non sono un obiettivo militare, condividendo pubblicamente le coordinate geografiche dell’ospedale, a ridosso del fiume.

La guerra per le città ha conseguenze pesantissime sulla popolazione, ha ricordato venerdì, nel corso di una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, Deborah Lyons, la rappresentante speciale dell’Onu. I Talebani ne sono consapevoli ma avrebbero messo in conto «la carneficina inevitabile».

Solo nell’ultimo mese, soltanto nelle città di Herat, Kandahar e Lashkargah, «sono almeno mille le vittime civili», tra morti e feriti. Lo scenario che si configura ricorda «quanto avvenuto in Siria o a Sarajevo». Una catastrofe che si aggiunge alla crisi umanitaria già in corso. Deborah Lyons ha ricordato che metà della popolazione, 18,5 milioni di persone, ha bisogno di assistenza umanitaria.

E l’Onu si aspetta che i numeri delle migrazioni regolari e irregolari dall’Afghanistan raddoppino quest’anno. Ma i Paesi confinanti alzano muri, l’Europa si preoccupare del personale diplomatico delle ambasciate di Kabul, mentre Stati uniti e Regno unito hanno sollecitato ieri tutti i propri cittadini a lasciare al più presto il Paese.