Dopo una lunga malattia, è morto domenica notte a 72 anni il nostro Maurizio Ferrini. Nel gruppo del Manifesto fin dal 1972 come giovane studente del Fermi, ha partecipato di tutta la nostra storia di fondazioni e sconfitte, rotture e rinascite. Per quell’innesto fondamentale che portò tanti studenti dei collettivi romani, da quello di Medicina ai tanti degli istituti superiori, che si collegarono alla nostra elaborazione sulla scuola.

NELLA NOSTRA TOPOGRAFIA romana c’erano alla fine degli anni Sessanta e inizio Settanta, diverse sedi organizzative (da Piazza del Grillo, della rivista Il Manifesto, alla sede ex Pci di Montesacro, dal Casilino alla sede operaia sulla Tiburtina, dalla centrale Via Monterone, fino alla Magliana).

Via Pomponazzi era un vecchio deposito delle Feste de l’Unità che dopo la trattativa con la Federazione romana del Pci – , visti i tanti radiati – rimase al Manifesto. Divenne subito un punto di riferimento del movimento degli studenti.

Maurizio, con altri compagni, prese in carico la gestione di Pomponazzi. La zona di Via Andrea Doria-piazza delle Medaglie d’Oro era allora una frontiera calda. Vicino c’era il quartiere alto della Balduina e una sede del Msi. Nel settembre del ’77 su questo confine venne ucciso dai fascisti Walter Rossi.

La presa in carico di Maurizio della sede, insieme ai Fratelli Pandolfi e a Mario De Quarto – fu un gesto coraggioso. Fu infatti subito la sede organizzativa delle elezioni del 1972 alle quali Il Manifesto – non senza divisioni interne – si presentò candidando l’anarchico Pietro Valpreda in carcere perché accusato ingiustamente della strage di piazza Fontana.

Bisognava starci in quelle ore, con Maurizio a Pomponazzi, ad arrotolare i manifesti che, visti gli scarsissimi mezzi, erano le pagine del giornale che riproducevano la nostra falce e martello e Valpreda con il pugno alzato.

SU MAURIZIO SI POTEVA fare affidamento. Intratteneva tutti i rapporti – perfino con la signora del terzo piano dirimpettaio di Pomponazzi che tirava pentole contro gli ultimi usciti dalle riunioni che facevano le ore piccole.

Le diffusioni le organizzava, così il volantinaggio. Se c’era da fare il servizio d’ordine era in prima fila, mai militarista e sempre avveduto e pronto a lanciare, nel caso, un suo grido memorabile: «Damise compà..!». Venne anche arrestato, ingiustamente, nel periodo del rapimento Moro nel ’78.

Convegno all’università di Torino con Pietro Valpreda, Norberto Bobbio, Bianca Guidetti Serra nel 1971, foto Dario Lanzardo

LA SUA INNATA caratteristica era la furbizia allegra, impastata di affettività. Se le tante vite perse in assemblee allora fumanti, mantennero l’ amore e la passione necessari lo si deve a compagni-amici come Maurizio. Aveva una dote invidiabile: intraprendere iniziativa con il sorriso.

La faccia di Maurizio era una maschera del positivo programma per il futuro: arguta, popolare, di chi ha avuto l’origine nelle periferie-mondo di una città frantumata, pronta allo scherzo e al gioco per un passato di battimuro in borgata, di campetti del pallone, di pratica del calcio, come ottimo terzino e romanista convinto.

SEGUÌ TUTTE LE NOSTRE vicissitudini politiche: il fallimento delle elezioni del ’72, la fallita unificazione con Potop, la nascita del manifesto-Pdup, il Pdup per il comunismo, e ancora dopo la devastazione degli anni di piombo, la nuova separazione tra giornale e Pdup.

Il manifesto quotidiano usciva dagli anni Settanta trasfigurato e in crisi di vendite. Bisognava risollevarne le sorti. Rossana Rossanda lanciò dalla redazione la proposta della ’Cooperativa Il manifesto Anni ’80’, che riattivò la proposta culturale-giornalistica: sulla giustizia, avviando Antigone, sulla psichiatria basagliana con l’inserto Nautilus, sull’ecologia, sui libri creando L’Indice, la prima rivista di sole recensioni, perfino sul cibo con Il Gambero rosso.

La prima uscita pubblica del gruppo-rivista il manifesto. Roma, Teatro Eliseo, 15 febbraio 1970.,[object Object],Foto di Fausto Giaccone

Era urgente però promuovere nuovi servizi ed utilità, sulle nuove tecnologie (fummo il primo giornale italiano ad avere i computer individuali in redazione) e sulla pubblicità nacque l’agenzia esterna Poster. A dirigerla fu chiamato Maurizio Ferrini.

Da allora in poi ogni spazio pubblicitario comparso sul manifesto – che tanto c’infuria ma che è tanto prezioso – è stata opera di Maurizio e di un gruppo di collaboratrici e collaboratori ora interni alla cooperativa del nuovo manifesto, che hanno raccolto il testimone di Maurizio ormai gravemente malato.

Tra i tanti ricordi in particolare, la presenza di Maurizio in redazione quando il fascista Insabato nel 2000 mise la bomba a Via Tomacelli. Lui, con Benedetto Vecchi e Roberto Zanini, subito soccorse l’attentatore rimasto gravemente ferito.

ERA GIOIOSO, GENTILE e perspicace. Ho memoria di una vacanza con lui nell’allora Jugoslavia negli anni 80. Sulla spiaggia di Molunat in Croazia l’albergatore, alla nostra domanda su che cosa pensasse dei serbi, passò il pollice subito intorno alla gola. Maurizio subito mi fece: «Tommà, ma che sta a succede qua…?». Presto lo avremmo saputo.

Con lui perdo un fratello, uno specchio per avere futuro. Stare con lui, parlarci, scherzare era come avere ancora vent’anni. Non meritava il dolore che ha provato negli ultimi anni, che lo ha sfigurato tentando, senza riuscirci, di cancellargli la memoria di sé, di una vita combattuta ma serena.

Lieve sia allora, per lui e per tutte e tutti noi, questo suo abbandono.

AL FRATELLO SERGIO, alla moglie Emilia, al nipote Edoardo Maria e alla madre Felicia, l’abbraccio del collettivo redazionale de il manifesto.

Ieri lo abbiamo salutato in tanti al funerale nella chiesa Regina Pacis a Monteverde. Ora si prepara anche un addio laico, proprio a Via Pomponazzi.