Piaccia o no ai suoi protagonisti, a unire i destini di Madrid e di Barcellona c’è molto più del treno ad alta velocità Ave. Quello che potrebbe apparire come un insignificante dettaglio è invece sintomatico della fine di un’epoca.

Proprio come era a successo nel Parlament catalano a ottobre, a generare le prime scintille nelle Cortes di Madrid è la distribuzione dei partiti sugli scanni dell’assemblea. A Barcellona, non senza polemiche, è finita che gli indipendentisti di destra e sinistra sono finiti sul lato sinistro dell’emiciclo, e tutti gli altri dall’altra parte. A Madrid l’ufficio di presidenza – che i socialisti hanno consegnato a Pp e Ciudadanos – di fronte all’inedita situazione di 4 partiti principali, hanno deciso di relegare Podemos al loggione. A destra il Pp, a sinistra il Psoe, Ciudadanos al centro. E Podemos lungo tutto l’arco che va dal centro alla sinistra, ma agli ultimi banchi.

Un piccolo sgarbo rivelatore del clima che regna nella nuova camera. Una camera che d’altra parte ha deciso di infrangere altre consolidate prassi. Per esempio, quella dell’inaugurazione solenne in seduta congiunta davanti al Borbone. Nonostante il regolamento la prescriva entro oggi, date le circostanze, è rinviata sine die. O come quella, ancora più significativa, di attendere l’investitura del governo per iniziare le attività parlamentari. Il presidente socialista Patxi López ha già detto che la settimana prossima si costituiranno le commissioni e, pur senza sessioni di controllo al governo, inizierà l’attività legislativa in tutto quello per cui non è necessario l’intervento del governo.

Già, perché tutto lascia supporre che, ammesso e non concesso che un governo venga davvero investito, potrebbero volerci ancora molte settimane. Il monarca prende il suo tempo. Oggi inizia il secondo giro di consultazioni con 14 dei 16 partiti presenti – Esquerra Republicana (che nel frattempo è riuscita a ottenere il suo gruppo parlamentare, ma senza Izquierda Unida) e Bildu hanno di nuovo rifiutato di incontrare Filippo VI. Che ha strategicamente fatto in modo di vedere Sánchez solo martedì, lasciandogli il tempo di scannarsi sabato col suo Comitato federale sul da farsi. Le pressioni per trovare la quadra per lasciare fuori dal governo el coleta Pablo Iglesias e i suoi è sempre più forte, da dentro e fuori il partito, e non è chiaro se il giovane segretario socialista avrà la forza di imporre la sua linea – quale che essa sia.

Intanto Rajoy è uscito dal suo letargo e sembra si sia sentito brevemente per telefono con un esasperato Albert Rivera, leader di Ciudadanos, che chiede di mettersi attorno a un tavolo per scongiurare il pericolo viola. Il tutto mentre ieri il Pp di nuovo era al centro di un’altra tempesta giudiziaria, con decine di arresti nella comunità valenziana per un giro di tangenti. Mentre un altro caso di corruzione comincia a sfiorare anche l’ex ministro per l’agricoltura e attuale commissario europeo Miguel Arias Cañete.

Proprio mentre a Madrid inizia la battaglia parlamentare con il gruppo plurinazionale guidato da Iglesias, a Barcellona è in corso un piccolo terremoto politico. Podem (la Podemos catalana) è senza un leader da ottobre. Nel Parlament, il gruppo Catalunuya sí que es pot è in fermento. 4 degli 11 deputati sono di Podem, 4 dei rossoverdi di Icv, 1 di Iu e 2 indipendenti. Podem accusa Icv di accentrare le decisioni e reclama maggiore visibilità entro giovedì, altrimenti minacciano di andarsene. Il tutto mentre Ada Colau, approfittando del risultato molto positivo di En comú podem a dicembre, lanciava la sua Opa sulla sinistra catalana con la proposta di trasformare l’alleanza elettorale – la «zuppa di sigle» – in un vero e proprio partito.

Aperto a tutti – Podem incluso – ma lasciando ben chiaro che sarà uno spazio politico proprio. Che, almeno in Catalogna, sotto la guida di una sempre più indispensabile Colau, assorbirà tutti gli altri.