Prima fa il guappo dai banchi del governo, «ero preoccupato, alle tre del pomeriggio non mi era ancora arrivata nessuna minaccia di denuncia», risate dagli scranni della maggioranza. Poi entra – dice – nel merito. Matteo Salvini, al question time di Montecitorio, deve rispondere a due domande di Erasmo Palazzotto, deputato di Leu. Tema: le accuse sparate a raffica contro le Ong.

LE QUESTIONI sono precise. La prima: il 23 gennaio Salvini ha sostenuto di essere in possesso di «evidenze» che dimostrerebbero rapporti tra le Ong e trafficanti, e che le avrebbe presto consegnate alle autorità giudiziarie». La seconda è ancora più delicata: il 27 gennaio il quotidiano Il Fatto ha pubblicato un’intervista a Pietro Gallo, «agente della sicurezza» che nell’ottobre del 2016 si imbarca con Save The Children a bordo della nave Vos Hestia, e spia – e filma – l’equipaggio. A caccia di prove dei rapporti con gli scafisti. Non ne cava niente, per sua stessa ammissione, ma alla fine consegna tutto alla procura di Trapani, che indaga 20 persone (l’inchiesta langue come le altre due che a Ragusa e Catania riguardano alcune Ong). Ma il punto è che a chi lo intervista Gallo racconta di averlo fatto per conto «di Salvini o della Lega». In cambio di una promessa aiuto per un lavoro. Palazzotto ricostruisce la vicenda. Gallo è «un contractor della Imi Security Service, società che sembra essere vicina a organizzazioni di estrema destra, come Generazione Identitaria». Le spiate vanno a vuoto ma in quei giorni Salvini, che è europarlamentare, ’svela’ l’esistenza di un dossier dei servizi, «smentito dall’allora presidente del Copasir», Giacomo Stucchi, anche lui leghista. «A quale titolo ha svolto questa attività?» chiede Palazzotto, «le informazioni di cui dichiara di essere oggi in possesso sono state acquisite con le stesse modalità o sono stati coinvolti corpi dello Stato che hanno agito sotto diretto impulso del suo ministero e quindi senza ’autorizzazione dell’autorità giudiziaria?». Insomma oggi che è ministro continua a incaricare ’qualcuno’ di fare «indagini»?

LA RISPOSTA ARRIVA, si fa per dire, al termine di una serie di sorrisetti rivolti ai suoi in aula. «Per il mio mestiere sentivo e sento quotidianamente persone che lavorano nell’ambito del settore dell’immigrazione», dice Salvini, «e qualunque elemento mi venga fornito viene trasferito ovviamente a chi di competenza, che ne valuterà la consistenza». FACCIO COSE, VEDO GENTE, insomma. «Così operavo in passato, in maniera assolutamente trasparente, senza promettere niente a nessuno, men che meno posti di lavoro, nell’unico e solo interesse della tutela della sicurezza nazionale», poi allude al caso Diciotti per cui non vuole essere portato in giudizio: «Sono convinto da otto mesi di operare per difendere la sicurezza di chi parte e muore», «L’ho fatto e lo rifarò». È convinto. Ma non ha le evidenze.

REPLICA PALAZZOTTO: «Non ci ha detto se queste attività delle forze di polizia sono state eseguite su impulso suo diretto o dell’autorità giudiziaria, ma il fatto che lei ci dica che le deve trasferire all’autorità giudiziaria, in realtà ci dice molto». E le «evidenze» erano «fake news», dice. Il dubbio se episodi come quello di Gallo si siano ripetuti, oggi che Salvini è al Viminale, è inquietante. Una pericolosa confusione di ruoli.

CHE HA ANCHE UNA FOTOGRAFIA. Salvini alla camera arriva sfoggiando una giacca della polizia, è la seconda volta che lo fa. Oggi ha il distintivo di un’aquila che tiene fra le grinfie «Primus». Si è travestito da pilota del Primo Reparto Volo di Pratica Mare, gli elicotteri che sorvegliano dall’alto i cortei e le città. Spesso forniti di occhiute telecamere.