È pace fatta tra Varsavia e Praga sulla miniera di Turów, una spinosa faccenda che incrocia ambiente ed energia, ma la Corte di giustizia dell’Ue non è rimasta a guardare. E successo tutto in un giorno. Dapprima sono arrivate le conclusioni dell’avvocato generale del tribunale con sede in Lussemburgo Priit Pikamäe: «Prorogando di sei anni l’autorizzazione all’estrazione di lignite nella miniera di Turów senza procedere a una valutazione dell’impatto ambientale, la Polonia ha violato il diritto dell’Unione».

SONO CONCLUSIONI non vincolanti ma destinate comunque ad avere un certo peso nella sentenza di lì a venire, il tutto a prescindere dalla penale giornaliera di mezzo milione di euro nei confronti della Polonia, decisa dal vicepresidente della Corte Ue il 20 settembre 2021. Un conto ogni giorno sempre più salato per la parte polacca che fino ad ora non ha voluto mettere mano al portafoglio sperando di risolvere la questione direttamente con il paese vicino. Le valutazioni dell’avvocato generale non lasciano spazio a dubbi: «Il fatto che la Polonia abbia mandato in ritardo le informazioni richieste e che lo abbia fatto in modo incompleto, unitamente al rifiuto di rispondere alle richieste di assistenza da parte della Repubblica Ceca, non rispondono ai requisiti dello spirito di solidarietà, cooperazione e assistenza reciproca tra Stati membri», si legge ancora nella conclusione.

Poche ore dopo il premier ceco Petr Fiala e il suo omologo polacco Mateusz Morawiecki in visita a Praga hanno annunciato un accordo di 5 anni sulla miniera vicina al confine con la Repubblica Ceca e che oggi da lavoro a circa 5.500 persone nel sud-est della Polonia. «Finisce il periodo di intoppi nelle ottime relazioni polacco-ceche che fino ai tempi di Turów non avevano smesso di svilupparsi. Oggi apriamo un nuovo capitolo», ha dichiarato Morawiecki, espressione della destra populista di Diritto e giustizia (Pis), durante una conferenza congiunta con Fiala.

A DIRE IL VERO in pochi si sarebbero aspettati un deterioramento irreversibile nei rapporti tra Varsavia e Praga. La partecipazione della Polonia all’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia nel 1968 non è più considerata un motivo di frizione da decenni. I polacchi non hanno smesso di apprezzare le commedie ceche al cinema e gli scambi commerciali tra i due paesi del Gruppo di Visegrád continuano a fiorire. Il governo polacco verserà 45 milioni di euro ai vicini come risarcimento per il proseguimento dell’attività estrattiva. Per far fronte a un ulteriore prosciugamento delle falde idriche nella zona, Varsavia si impegna a costruire una barriera sotterranea per evitare che i macchinari di Turów pompino acqua sotterranea posta in territorio ceco. I polacchi dovrebbero erigere anche degli argini lungo i confini del sito per limitare la dispersione di polveri nell’aria e ridurre l’inquinamento acustico nelle località limitrofe. «Siamo riusciti a rimuovere un carico che ci pesava», ha commentato invece la controparte ceca, forte anche delle garanzie ottenute in merito alla misurazione delle diverse componenti ambientali che la Polonia dovrà monitorare nei prossimi cinque anni. A questo punto la Repubblica Ceca con ogni probabilità ritirerà la sua denuncia alla corte Ue dopo aver citato in giudizio la Polonia a febbraio scorso.

MA LA QUESTIONE APPARE tutt’altro che risolta. Il fatto che Praga possa fare retromarcia non cancella gli arretrati che Varsavia è tenuta a versare a Bruxelles. «Se e quando la Repubblica Ceca ritirerà la causa», la multa inflitta a Varsavia «smetterà di crescere», ma le «sanzioni dovute fino a quel momento sono comunque dovute», ha spiegato un portavoce della Commissione europea. Con tutte le contese in corso tra Polonia e Ue, in materia di giustizia e stato di diritto, è difficile immaginare che Bruxelles sia adesso disposta a compiere un passo indietro a cuor leggero.