Accoglienza profughi, in Polonia è record. Ma non vale per tutti
Effetto ucraina In due milioni sono entrati nel Paese. La solidarietà di amministrazioni locali, ong e privati cittadini
Effetto ucraina In due milioni sono entrati nel Paese. La solidarietà di amministrazioni locali, ong e privati cittadini
Volente o nolente, Varsavia è chiamata a gestire un esodo di incommensurabili proporzioni. Ad oggi, secondo i numeri forniti dalla Straz Graniczna (Sg), la polizia di frontiera, almeno 2 milioni di profughi sono entrati in territorio polacco dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Incrociando questi dati con le cifre fornite dall’Onu emerge dunque che due persone su tre in fuga dalla guerra arrivano in questo paese.
Avevano fatto scalpore all’inizio di questa settimana le parole del vice premier polacco Henryk Kowalczyk, espressione della destra populista di Diritto e giustizia (PiS): «È proprio merito del governo se in Polonia non ci sono campi profughi», ignorando così gli sforzi di amministrazioni locali, ong, volontari e comuni cittadini. «Contiamo sempre sul fatto che l’Ue aiuterà la Polonia e i polacchi così come aveva fatto con la Turchia nel 2015», ha dichiarato il numero due del ministero degli Interni polacco Maciej Wasik. Difficile sperare in un sostegno incondizionato da parte dell’Ue considerando le tensioni tutt’altro che risolte tra Varsavia e Bruxelles su stato di diritto e giustizia. La burocrazia Ue, inoltre, potrebbe non aver dimenticato il nie categorico del Pis nel 2015 al ricollocamento di una quota di profughi siriani in Polonia.
NUMEROSI GLI ALLOGGI messi a disposizione gratuitamente o per una quota simbolica da parte dei cittadini polacchi. «Uno dei prerequisiti per affittare un appartamento a Varsavia è quello di dimostrare di essere scappato dall’Ucraina, non è stato per niente facile», racconta Aleksej fuggito da Romny, una città del nordest dell’Ucraina, situata nell’oblast di Sumy. Ed proprio su questo punto che casca l’asino nella cosiddetta specustawa, il provvedimento di sostegno ai profughi ucraini, varato la settimana scorsa dal governo targato Pis.
Regolarizzazione con decorrenza immediata all’ingresso in Polonia, permesso di soggiorno valido 36 mesi e accesso parziale al welfare, sono queste alcune delle misure contenute nella normativa applicabile soltanto a chi entra direttamente dall’Ucraina. Nella sua forma attuale, la specustawa non vale per i familiari dei profughi che vogliono raggiungere i propri cari da altri paesi oppure per le persone entrate originariamente in Moldavia o negli altri paesi Ue. Un distinguo imbarazzante per il governo polacco che ha poi promesso di ritornare sul provvedimento per eliminare questo requisito dal testo della legge.
MA LA SPECUSTAWA è destinata a restare discriminante visto che riguarda soltanto i profughi di nazionalità ucraina, oppure di paesi terzi, ma soltanto se coniugati con una persona ucraina. «Ai non-ucraini non resta che presentare richiesta di asilo in Polonia», spiega l’avvocata polacca Anna Kruszewska specializzata su questi temi.
Il numero delle strutture ricettive in Polonia sembra abbastanza elevato da consentire di affrontare l’emergenza. Sulle pareti dei punti di accoglienza per i profughi collocati nelle stazioni ferroviarie, si vedono messaggi bilingue inglese-ucraino che invitano a spostarsi verso i centri abitati più piccoli del paese descritti come luoghi «tranquilli, dotati di una buona infrastruttura e adeguati».
A questo ritmo le città più grandi rischiano il collasso. «Purtroppo per motivi legati alla privacy le strutture gestite dalle amministrazioni locali non possono fornire i contatti personali dei cittadini polacchi che mettono a disposizione i propri immobili. Spesso intere famiglie finiscono in strutture alberghiere con i costi di pernottamento coperti attraverso i fondi raccolti da donatori occasionali che si trovano a passare da queste parti», confessa Piotr un volontario di Cracovia. «Arrivano così tante persone che abbiamo dovuto smettere di selezionare i vestiti che riusciamo a raccogliere. La scelta la lasciamo a loro», racconta invece Kinga in un tendone davanti alla stazione.
INTANTO VARSAVIA ha scelto di aiutare ma senza rinunciare a militarizzarsi: con la «legge sulla difesa della patria», firmata ieri dal presidente Andrzej Duda, la Polonia si impegna, a partire dal 2023, a destinare almeno il 3% del proprio Pil annuo alle spese militari, una tendenza al rialzo osservabile anche negli altri paesi della Nato.
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