Il cielo dell’Abruzzo in questi giorni sembra l’Irlanda: il passaggio dal sole agli acquazzoni è fulmineo ed è impossibile fare previsioni. Esattamente come il voto di domenica per la regione, che è diventato incertissimo e nessuno sa davvero come andrà. Non il governatore uscente Marco Marsilio, che confidava in una pura formalità, visto lo strapotere della sua amica Meloni, che qui è stata eletta in Parlamento. E neppure Luciano D’Amico – il rettore che sta facendo tremare lei e Salvini – stanchissimo ma tutto sommato sereno per aver riaperto la partita: «Con l’esperienza ho capito che le cose accadono quando devono accadere, vedremo tra pochi giorni se questo per l’Abruzzo è il momento di cambiare pagina». Non lo sanno i leader che sono rimasti qui fino all’ultimo minuto utile, consapevoli che dopo la Sardegna questo è ormai diventato l’Ohio d’Italia, arbitro di una fetta del futuro politico nazionale.

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L’UNICA CERTEZZA è che, dopo la Sardegna, in Abruzzo il centrosinistra si è come svegliato dalla rassegnazione: il motore della campagna gira a pieno regime, i big nazionali non si fanno vedere insieme (neppure Conte e Schlein) e tuttavia macinano chilometri, compresi i piccoli paesi, a fianco di D’Amico, mentre quelli locali si parlano eccome. Questo risveglio dell’opinione pubblica progressista lo sintetizza perfettamente lo scrittore di Lanciano Remo Rapino, vincitore nel 2020 del Campiello con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio. «Flaiano diceva ‘ Coraggio, il meglio è passato’.

Questo è, o almeno era, lo stato d’animo degli abruzzesi, dominati dall’ansia e dalla paura per il futuro. Queste elezioni sono un treno, spero che molti di noi decidano di salirci, superando la delusione per una classe dirigente un po’ prepotente per affidarsi a una speranza». Per Rapino, «moderatamente ottimista», la speranza è D’Amico: «Da parte del centrodestra abbiamo visto una campagna elettorale tipica della peggiore Dc, finanziamenti a pioggia anche al più piccolo circolo o associazione sportiva, cose che al momento del voto pagano».

ANCHE LUCIANO D’ALFONSO, ex governatore e ora parlamentare Pd, annota che la carta potenzialmente vincente non è tanto il campo larghissimo, ma il candidato. «Questa mattina sono andato a volantinare tra i dipendenti comunali di Pescara, solo 4 su 200 non mi hanno sorriso. Vedo che c’è attorno a D’Amico il riconoscimento della sua bravura: è uno che dice la verità, arrivo a dire un nuovo Prodi. Sono certo della sua vittoria». Basterà? «Ha una comunità di 20mila studenti che si sono laureati quando lui era rettore, e lo adorano: meglio di un partito».

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D’Alfonso, che fa il politico da decenni da queste parti, ammette che l’effetto D’Amico è più forte a Teramo, Pescara e Chieti, molto meno a l’Aquila, dove il sindaco Biondi è di Fdi (con un passato ancora più a destra). «Mi auguro che questa consapevolezza si faccia strada anche a l’Aquila, almeno metà degli elettori andranno secchi sul presidente. E sono sicuro che più della metà non si farà incantare dai braccialetti e dalle collanine regalati in giro, uno stile che ricorda il meridione del secolo scorso». Accuse pesanti, ma D’Alfonso, bestia nera di Marsilio (il governatore dice che il vero candidato è lui), non si fa troppi problemi: l’altro giorno è andato all’inaugurazione di una sede Asl, cui era presente anche Marsilio, armato di una carriola rossa con una sirena che ha impedito agli altri di parlare. «L’ho fatto impazzire», sorride, mentre l’altro lo accusa di pressioni sui dirigenti Asl affinché stiano fuori dalla campagna elettorale. E cioè la smettano di tagliare nastri con il pupillo di Meloni.

In una competizione così importante con solo1,2 milioni di elettori chiamati alle urne succede anche che si arrivi ai colpi bassi. E succede che un noto simpatizzante della destra si presenti a Pescara al comitato elettorale del dem Antonio De Marco promettendo 500 voti. Ce l’ha a morte col sindaco di Pescara Carlo Masci, di Fi, per una vicenda relativa alla riqualificazione di alcune case popolari. «Sono fascista ma voto per te», le sue parole. E del resto è proprio Pescara il principale serbatoio per il centrosinistra.

«Il sindaco Masci è il nostro principale alleato», sorride Michele Fina, tesoriere del Pd nazionale, vicinissimo a Schlein, per anni segretario regionale in Abruzzo, che confessa: «Dal 2019 per il mio chiodo fisso è riconquistare l’Abruzzo e sono molto contento di come sta andando». Il sindaco non è molto amato, sono nati comitati di protesta per mille motivi, ha difficoltà a conciliare movida e residenti. Problema assai diffuso. «Sì, ma lui è particolarmente incapace», spiega Fina davanti a un piatto di chitarre alla teramana, in attesa di uno dei mille comizi di Schlein.

MA LA VERA CARTA per il centrosinistra è la sanità. Massimo Cialente, ex medico e ex sindaco dell’Aquila nei giorni del terremoto di 15 anni fa, ha una diagnosi: «A causa della mobilità passiva la sanità abruzzese è sotto di 100 milioni, se passa l’autonomia differenziata per noi è una sciagura». L’Abruzzo potrebbe non chiederla. «Sì, ma lo Stato avrà meno soldi da distribuire alle regioni del centrosud: le stime che ho parlano di un taglio di 400 milioni l’anno per l’Abruzzo. Non saremo più virtuosi, semplicemente più poveri». Non ce ne sarebbe bisogno. «Rispetto al 2022 aumentano tutti i parametri: molti di più i pasti distribuiti e molte di più le persone che hanno chiesto ospitalità notturna, e sempre più famiglie non ce la fanno a compare i beni primari», spiega Corrado De Dominicis, direttore della Caritas di Pescara.

L’AQUILA RESTA UN FEUDO della destra: «Ci sono aree della classe dirigente cittadina che si erano spostate a destra che ora si stanno pentendo. Non è ancora un fenomeno popolare, ma ci arriveremo…», sostiene Cialente che racconta anche la faida tra Fdi e Lega: «Quelli di Meloni hanno portato via alla Lega anche l’assessore alla Sanità, Nicoletta Verì, ma non solo lei. I leghisti sono furiosi, e ora rischiano davvero: sono passati dal 27,5% delle ultime regionali all’8% delle politiche. Finire sotto il 4% per Salvini, che sta girando come una trottola, sarebbe una Caporetto». Un clamoroso flop della Lega avrebbe effetti anche su Marsilio, anche se qui non c’è il voto disgiunto e tutti, anche a sinistra, ammettono che «il centrodestra ha liste più forti». Che vuol dire candidati più capaci di trovare le preferenze.

I NUMERI DELLE URNE dicono che già nel 2019, se Pd e M5S si fossero alleati, avrebbero vinto: 51 contro 48%. Alle ultime politiche il campo largo, compresi Renzi e Calenda, ha preso il 46,7% contro il 47,7 delle destre. Un punto di differenza, come quello segnalato dagli ultimi sondaggi prima del black out. Ora il punto è capire se la “rivoluzione dolce” di D’Amico farà scattare il sorpasso. Tutto dipenderà dall’affluenza: più persone votano più crescono le chance del centrosinistra. Nel frattempo, dopo Todde è nata un’altra star tra i giallorossi: il professore gentile.