La relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge sull’aborto purtroppo serve a poco. Non sono utili i dati chiusi che non includono le informazioni necessarie per comprendere la reale qualità del servizio.

Come denunciato dalla campagna #DatiBeneComune quella del Ministero non è una modalità adeguata per una pubblica amministrazione. Basterebbe leggere e attenersi alle “Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico” del Codice dell’Amministrazione Digitale (Cad).

Inoltre, non serve a molto ogni anno una nuova puntigliosa profilazione delle donne che accedono al servizio se poi il tema dell’obiezione di coscienza del personale medico, delle tempistiche e del funzionamento dei consultori non viene adeguatamente studiato e approfondito.

Trasmessa al Parlamento con quattro mesi di ritardo e con dati relativi al 2020, la relazione evidenzia come il Ministero non sia riuscito a mettere a frutto il tempo a sua disposizione per elaborare un testo che sapesse rispondere alla continua violazione del diritto all’aborto dimostrata negli ultimi anni da lavori differenti come quelli prodotti dalla nostra campagna “Libera di Abortire” o dall’inchiesta “Mai dati”.

Dunque per il ministro Speranza lo stato dell’applicazione della 194 in Italia è assolutamente non problematico. Si legge infatti che anche durante la pandemia “tutte le Regioni hanno reagito prontamente alla situazione e i servizi riorganizzato opportunamente i percorsi IVG con l’obiettivo di garantire le prestazioni”. Nulla vi è riportato in relazione ai casi di donne positive al Covid che si sono viste impedire l’accesso al servizio nonostante l’IVG si trattasse di “prestazione indifferibile”.

Il problema che emerge da più di cento pagine di relazione riguarda la rappresentazione dell’aborto: può una Istituzione essere più interessata a dimostrare quanto bassi siano i tassi di abortività in Italia rispetto al panorama internazionale e a dipingere l’aborto come un rischio da cui le donne devono proteggersi, anziché lavorare su “come” viene erogato il diritto all’aborto nelle nostre strutture pubbliche? E può non fornire spiegazioni sulle evidenti problematiche come l’obiezione di struttura, i dati discrepanti su obiezione individuale e il mancato recepimento da parte di alcune Regioni delle linee d’indirizzo sulla somministrazione di RU486?

E ancora, invece di parlare di “corretta informazione” sull’uso della contraccezione di emergenza, non dovrebbe metterla in pratica, organizzarla e incentivarla? Esiste un evidente divario fra ciò che viene descritto e la situazione nazionale della salute sessuale e riproduttiva, perfettamente riassunto dalla peculiare scelta del Ministero di discutere in Relazione dell’ipotetico effetto benefico dell’aumento della contraccezione di emergenza sul numero di IVG, a fronte – invece – di una situazione di illecito esercizio di obiezione di coscienza da parte dei farmacisti più volte denunciata da piattaforme di mutuo aiuto come Obiezione Respinta e IVG Ho abortito e sto benissimo, e di cui non si fa alcuna menzione.

Il Ministero aveva avviato a marzo 2021, a seguito di manifestazioni ed appelli, una interlocuzione con la rete raccolta intorno alla campagna “Libera di Abortire”. Non siamo certamente le sole armate di buone intenzioni ad attendere risposte su proposte necessarie a garantire la piena attuazione della Legge 194: telemedicina, incentivi tramite la modifica dei Livelli essenziali dei servizi delle Regioni, informazione e formazione. Ma a tre anni dall’inizio del mandato di Roberto Speranza non è chiaro se esista la reale intenzione ad agire concretamente da parte un ministro che si professa laico e a favore dell’autodeterminazione delle donne.

* tesoriera di Radicali Italiani ** coordinatrice della campagna Libera di Abortire