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A Roma ennesimo sgombero degno di Kafka

A Roma ennesimo sgombero degno di Kafka

Più di un’ora di riunione fra l’assessore al patrimonio di Roma Capitale Andrea Mazzillo col suo staff da un lato del tavolo e dall’altro la delegazione delle associazioni che hanno […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 17 febbraio 2017

Più di un’ora di riunione fra l’assessore al patrimonio di Roma Capitale Andrea Mazzillo col suo staff da un lato del tavolo e dall’altro la delegazione delle associazioni che hanno sede all’edificio di via di Sant’Ambrogio, nel centro della Capitale. Un incontro seguito ai sigilli che le forze dell’ordine hanno apposto incatenando la sede, con un inatteso blitz giovedì mattina.

E un nome è venuto spontaneo alle labbra: Kafka. Una specie di universo surreale in cui ogni cosa è anche il suo contrario.

Con molta convincente energia, l’assessore Mazzillo insisteva sulla volontà politica di prendere iniziative per risolvere questa situazione  e le molte situazioni analoghe in tutta Roma.

Poi, senza neanche riprendere fiato, aggiungeva che probabilmente queste iniziative non sarebbero servite a niente.

È già pronta una direttiva di moratoria sugli sfratti e gli sgomberi, annuncia; ma probabilmente «gli uffici» (una misteriosa, impersonale entità che incombeva su tutto il dialogo) non ce la faranno passare, trincerandosi dietro le inflessibili leggi contabili dello stato. E comunque anche se riusciremo a ottenere la moratoria, questa non si applica allo spazio di via Sant’Ambrogio perché non si può ritornare indietro su un atto amministrativo già compiuto.

Volontà politica dichiarata contro inflessibillità amministrativa? Oppure inflessibilità amministrativa come scudo per una volontà politica insufficiente? O addirittura – come da allusioni ricorrenti nel discorso dell’assessore Cinque Stelle – scontro fra due volontà politiche, quella della giunta e quella occulta che manipola la burocrazia («un complotto?», ha detto uno dei delegati)? O tutte e tre le cose insieme? O nessuna delle tre?

Kafka, appunto.

Alla fine degli anni ’90, l’ex scuola di via Sant’Ambrogio 4 era un edificio abbandonato e in rovina. Una serie di associazioni (il «Rialto occupato», il Circolo Gianni Bosio, il Forum movimenti acqua, Transform, Attac…) l’hanno rimesso a nuovo a loro spese e ne hanno fatto uno dei luoghi di cultura e di politica di base fondamentali a Roma.

Il Rialto è un punto di riferimento per il teatro di avanguardia e per le arti figurative; il Circolo Gianni Bosio ha fatto nel corso di questi anni almeno quattrocento concerti (li ho contati) e duecento seminari e incontri, laboratori musicali (per esempio, l’unico corso di zampogna a Roma) ed è un punto di riferimento internazionale sulle culture orali e popolari; il Forum ha promosso il referendum sull’acqua pubblica; e così via.

E invece di ringraziarci e darci una medaglia, ci sbattete fuori e ci chiedete pure cifre fantascientifiche come se avessimo fatto lucrose attività commerciali? Davvero il mondo alla rovescia.

Nella riunione è venuto fuori il numero di 750 realtà di questo genere in tutta Roma.

Certo, sono diverse, alcune più credibili di altre, Ma una cifra simile nel suo complesso significa che è questo il modo diffuso, molecolare, quasi del tutto volontario, in cui produce cultura la città di Roma. E lo trattano come un problema di contabiità e di «legalità».

Evidentemente, altre forme di illegalità diffusa e macroscopica a Roma non esistono. O non si toccano.

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