«Nemmeno il cimitero è stato risparmiato dai bombardamenti. Questa è Rafah. Quella che chiamano il posto sicuro per gli sfollati». Adnan al-Arja dice di non avere parole, ma le trova. Le consegna alla squadra di al Jazeera dopo un raid notturno che ha fatto una strage. Di bambini per lo più: sei sulle dieci vittime totali, le altre erano donne.

«LA SCENA dei corpi portati all’ospedale al-Najjar per la sepoltura spezza il cuore – racconta il corrispondente palestinese della tv qatariota, Hani Mahmoud – La maggior parte sono bambini, avvolti in lenzuola bianche impregnate di sangue. I dottori dicono che le ustioni erano così brutte che, anche fossero arrivati vivi, in questa situazione non ci sarebbe stato modo di salvarli».

Ahmed Barhoum, nel raid, ha perso la moglie e la figlioletta di cinque anni. Il raid ha centrato la casa dove si speravano al sicuro: «Questo è un mondo senza morale, senza valori». Lo dice all’Ap, mentre abbraccia il corpo senza vita della figlia Alaa: «Hanno bombardato una casa piena di sfollati, di donne e bambini. Non ci sono combattenti qui, solo donne e bambini».

Di fatto, l’offensiva israeliana contro Rafah è già iniziata. Non ieri, ma da settimane ormai. La città-rifugio – che ha visto in pochi mesi quadruplicare la propria popolazione, dopo la fuga disperata di 1,5 milioni di rifugiati nel risiko dell’occupazione israeliana – è colpita dall’aviazione israeliana con cadenza regolare.

Nessuno stivale sul terreno ma il fischio sinistro delle bombe. «Rafah sta assistendo a un’impennata di bombardamenti israeliani nelle ultime due settimane – spiega il giornalista Tareq Abu Azzoum – Può essere letto come il segno di una successiva incursione militare, soprattutto alla luce della mobilitazione delle truppe israeliane lungo il confine con la città».

Non è stata la sola presa di mira ieri, raid sono piovuti anche nel centro della Striscia e a nord del campo di Nuseirat, ormai raso al suolo. È stata distrutta anche la sede di un’industria farmaceutica a Deir al-Balah, la più grande di tutta Gaza: attacco «deliberato» dice il Comune, per rendere questo posto invivibile.

È IN QUESTO contesto definito di «genocidio plausibile» dalla Corte internazionale di Giustizia a causa della distruzione sistematica e deliberata di ogni forma di sussistenza, che ieri – a quasi duecento giorni dall’inizio dell’offensiva iniziata dopo l’attacco del 7 ottobre di Hamas – la Camera statunitense si è riunita per votare, tra gli altri, il pacchetto aggiuntivo di aiuti a Israele, «la misura più significativa dal 7 ottobre», scriveva ieri Haaretz.

Di miliardi di dollari ne riceverà 26, di cui 14 di «incondizionato aiuto militare»: dentro ci sono soldi per la difesa aerea ma anche per munizioni e sviluppo di tecnologie offensive. La contrarietà di un pezzo di Partito democratico si è ridotta significativamente: in mezzo c’è stato l’attacco iraniano del 13 aprile.

È solo l’ulteriore conferma che gli Stati uniti non hanno mai messo in dubbio il sostegno incondizionato a Israele. Rafah o non Rafah. Lo avevano già ricordato a tutti due giorni fa alle Nazioni unite mettendo il veto alla mozione del Consiglio di Sicurezza che chiedeva di riconoscere a pieno lo Stato di Palestina. Ieri l’Autorità nazionale palestinese ha detto che sta riconsiderando i rapporti con Washington perché «ha violato tutte le leggi internazionali e ha abbandonato le promesse di una soluzione a due stati…e fornisce armi e denaro a Israele che uccidono i nostri bambini e distruggono le nostre case», ha dichiarato in un’intervista il presidente palestinese Abu Mazen.

Alla «minaccia» credono in pochi visto la dipendenza dell’Anp dai fondi Usa. Nelle stesse ore in Turchia il presidente Erdogan incontrava il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh . Due ore e mezzo di incontro a Istanbul tra i due esponenti della Fratellanza musulmana durante le quali Erdogan ha promesso sforzo diplomatico per «un cessate il fuoco immediato». Lì, a Istanbul, le contraddizioni si intrecciano: da una parte la vicinanza politica ad Hamas e la sedicente guida turca di un fantomatico fronte regionale pro-palestinese, dall’altro i rapporti commerciali e militari mai interrotti con Israele e l’appartenenza alla Nato.

INTANTO in Cisgiordania – spesso a margine delle cronache nonostante nelle comunità palestinesi sia in corso la più feroce ondata di attacchi e sfollamento dal 1967 – le violenze proseguono. Il campo profughi di Nur al-Sham, a Tulkarem, ha visto salire a 11 il numero dei palestinesi uccisi (sette da proiettili, quattro da pestaggi) nell’operazione israeliana iniziata giovedì sera, con truppe e bulldozer. Per Israele tutti combattenti, ma il ministero della salute di Ramallah dà conto delle vittime civili: tra loro un 15enne, Fathi Qais Nasrallah.

Tre le case fatte saltare in aria e numerosi i feriti, aggiunge, irraggiungibili perché l’esercito impedisce alle ambulanze di passare. E ieri sera l’esercito ha invaso l’ospedale di Tulkarem, aggredito i medici e arrestato un paramedico.

Anche qui la sanità è sotto attacco: un medico di 50 anni, è stato ammazzato dai coloni a sud di Nablus. Secondo la Mezzaluna rossa, un gruppo di coloni ha lanciato pietre contro le auto palestinesi in transito e, all’arrivo dell’ambulanza, ha aperto il fuoco uccidendo il dottor Muhammad Awadallah.