Ieri l’Aam Aadmi Party (Aap) di Arvind Kejriwal ha sbancato all’ultima tornata elettorale per l’assemblea legislativa di New Delhi, respingendo l’avanzata della destra hindu rappresentata dal Bharatiya Janata Party (Bjp) del primo ministro indiano Narendra Modi.

Mentre scriviamo è ancora in corso lo spoglio dei voti ma i media indiani già danno per quasi certo un bilancio che non lascia spazio a fraintendimenti: su 70 seggi da assegnare, 62 sono andati ad Aap, otto al Bjp.

Una vittoria schiacciante per una formazione politica nata quasi dieci anni fa dalle ceneri del fortunato movimento popolare India Against Corruption e che ha trovato nella capitale una roccaforte ormai apparentemente inespugnabile.

Nel sistema legislativo indiano la capitale indiana è trattata come una sorta di territorio a statuto speciale: l’assemblea legislativa può legiferare su tutto tranne temi di sicurezza, ordine pubblico e del demanio, che rimangono a esclusivo appannaggio del governo federale. Ovvero, dal 2014, del Bjp.

Da oggi inizia il terzo mandato – compreso uno lampo, nel 2013, di poche decine di giorni – di Arvind Kejriwal alla guida di New Delhi, premiato da oltre un elettore su due grazie a una serie di politiche efficaci nel risolvere alcuni dei problemi che attanagliano la città: incentivi e sussidi per acqua e corrente elettrica, miglioramento del sistema sanitario e dell’istruzione, autobus gratis per le donne. Una ricetta di sviluppo locale, già promossa a modello da copiare in altre metropoli indiane, che ha sconfitto la retorica populista e divisiva messa in campo dal Bjp negli ultimi mesi.

Il partito di Modi ha di fatto tentato di trasformare la tornata elettorale in un referendum su tematiche nazionali come la nuova legge di cittadinanza (Caa) che, secondo i detrattori del governo, discrimina i richiedenti asilo di religione musulmana. E che soprattutto, in coppia al censimento dei cittadini (Nrc) che il Bjp vorrebbe introdurre «presto», potrebbe diventare uno strumento per emarginare ulteriormente la minoranza religiosa musulmana nel Paese.

Proprio a New Dehli le proteste contro il Caa e l’Nrc hanno mobilitato decine di migliaia di persone, guidate prima dai collettivi universitari della Jamia Millia Islamia University – ciclicamente oggetto della repressione violenta delle forze dell’ordine – e poi dalle donne di Shaheen Bagh, da quasi due mesi accampate a migliaia in uno spiazzo a Delhi sud a pochi passi dall’ateneo musulmano.

Mentre studenti e società civile manifestano per l’abrogazione delle leggi discriminatorie, a difesa della laicità e solidarietà della Repubblica indiana, gli alti papaveri del Bjp hanno ripetutamente animato comizi al vetriolo, invitando gli elettori a «spazzare via i manifestanti di Shaheen Bagh» e a «sparare ai traditori».

Quest’ultimo appello è stato raccolto alla lettera da tre simpatizzanti dell’ultradestra hindu, che negli ultimi 10 giorni hanno aperto il fuoco contro cortei di studenti (un ferito) e nei pressi dell’accampamento di Shaheen Bagh. I manifestanti hanno lamentato il mancato intervento delle forze dell’ordine, immortalate letteralmente a braccia conserte mentre uno dei militanti ultrahindu apriva il fuoco.

L’esito delle elezioni di Delhi ci dice che la strategia del terrore messa in atto dal Bjp non solo non ha attecchito nella capitale, ma sembra non attecchire quasi mai a livello locale. La destra hindu non vince un’elezione amministrativa statale dal 2017. Una crisi che ridimensiona fortemente l’aura di imbattibilità di Modi e dei suoi.

Ma ci dice anche che a oggi, a livello nazionale, non esiste un’alternativa allo strapotere del Bjp. Non si può, insomma, «ripartire da Aap», partito pressoché inesistente fuori dai confini di New Delhi. Né si può troppo cantar vittoria, nonostante la battuta d’arresto del Bjp a New Delhi abbia acquistato in queste ore un enorme valore simbolico.

Manca, e continuerà a mancare a lungo, un antidoto di respiro nazionale alla vocazione autoritaria della destra hindu al governo. Antidoto che un tempo era incarnato dall’Indian National Congress della dinastia Gandhi. Che, a New Delhi, ha portato a casa il 5% dei voti, pari a zero seggi.