Sabato 11 novembre sarà un altro sabato di manifestazioni pro-Palestina a Londra. Ma forse anche no. Remembrance Day, o giorno della memoria – quello in cui si ricordano i caduti delle due guerre mondiali con enfasi particolare sulla prima, dato che coincide con l’anniversario della firma del suo armistizio – cade lo stesso giorno.

Ora la polizia potrebbe vietare il corteo dopo aver invano chiesto agli organizzatori di posticiparlo. Agirebbe previo assenso della ministra degli interni Braverman secondo la sezione 13 del Public Order Act del 1986, laddove si rilevasse la presenza di rischi all’ordine pubblico. Amnesty International ha chiesto alla polizia di ripensarci.

L’11 NOVEMBRE di ogni anno accade qualcosa che ti puoi permettere se, come la Gran Bretagna, hai sempre vinto le guerre o credi di averle vinte, o perlomeno di non averle perdute: un dispositivo cerimoniale-simbolico molto sentito dalla sua componente «europea» e preferibilmente conservatrice, e per questo essenziale alla versione-narrazione Tory della storia del paese come anche della sua auto-percezione.

Consta essenzialmente del solenne e compunto incedere di personale politico militare presso il Cenotaph, la “stele” dell’architetto Lutyens, il sacro memoriale di guerra a Whitehall dove Charles terzo presenterà una corona di papaveri rossi di plastica, imitato da tutti gli ex premier e dei leader di maggioranza e opposizione.

Alle undici del mattino, scatteranno i liturgici due minuti di silenzio in tutto il paese. Che degli slogan gridati a favore della Palestina martoriata possano infangare/infrangere quei due minuti tiene la destra sveglia la notte. Da giorni i network privati come Talk tv, GBNews, Sky e i tabloid prefigurano con orrore la violazione di quel silenzio cerimoniale rotto dalla cacofonia degli slogan contro l’eccidio continuato di Gaza. Tanto che tifoserie calcistiche di destra si starebbero mobilitando per «difendere» il cenotafio dalla «profanazione», come l’ha definita la ministra dell’interno Suella Braverman.

IL CLIMA nel paese è teso per vari allarmi, non ultimo quello del rischio terroristico. C’è una polarizzazione acuta, frutto dalla ferocia che imperversa a Gaza e in Israele, che si coagula ancora una volta attorno al linguaggio ed è fomentata da un dibattito politico incistato sulle cosiddette guerre culturali, quelle culture wars la cui temperatura si va arroventando.

A sua volta responsabile di un linguaggio sul crinale dell’incitazione al pogrom è la stessa Braverman: ha definito le ultime manifestazioni filopalestinesi delle «marce dell’odio», ha cercato di proscrivere una serie di slogan leggibili come antisemiti e/o «filo Hamas» e sta adottando una postura mai così sfacciatamente destrorsa come futura capofila tra i candidati alla leadership tory.

Le fanno da controcanto il leader laburista Keir Starmer – che alle defezioni eccellenti e copiose dal suo partito (numerosi parlamentari e consiglieri comunali) fa spallucce e prosegue nel suo allineamento con il governo sulla richiesta di pause umanitarie anziché un cessate il fuoco – e la ministra ombra degli interni Yvette Cooper, che si è detta personalmente favorevole al divieto, anche se il partito non ha una posizione ufficiale.

Su queste tensioni sulla illibertà di parola nel paese-culla del liberalismo si innesta uno scontro simbolico e politico abbastanza formidabile: in decine di migliaia scenderanno in piazza per fermare un massacro nello stesso giorno in cui si rievoca il sacrificio dei caduti in una guerra imperialista che del massacro medesimo è giocoforza antecedente. Polizia permettendo, quella di sabato sarà manifestazione per l’armistizio nel giorno dell’armistizio.