L’ autunno è la primavera delle serie. La settimana prossima a Toulouse si svolge la 15ma edizione di Cartoon Forum, con 12 serie europee (e la Rai Ragazzi tra i candidati per il premio alla miglior emittente), mentre dal lunedì al venerdì alle 9:05 e tutti i giorni alle 16:45 in prima tv Rai Yoyo, si vedrà Alice & Lewis, serie animata italo-francese in 3D di Blue Spirit e MoBo di Milano (a 70 anni dal film Disney), per i piccolissimi d’oggi, ignari dei giochi linguistici e dei fantastici sbalzi di logica nel capolavoro di Lewis Carroll.

E accendendo in questi giorni la tv d’oltralpe si può ‘ripassare’ la serie di Montalbano, con Zingaretti & C. doppiati in francese. A settembre si è anche conclusa a Lille Séries Mania («là dove cominciano le serie», è lo slogan), che l’anno prossimo tornerà a svolgersi in marzo (dal 18 al 25), dopo lo scombussolamento di date e appuntamenti-Festival dovuto quest’anno alla pandemia. Concentrata nel centro storico della deliziosa capitale-giocattolo delle Fiandre (che ha purtroppo ceduto alla moda dei grattacieli sghimbesci nel suo prolungamento urbano high-tech attorno alla neo-stazione TAV e all’immancabile fungaia Barrière di Casinò & hôtels), la rassegna, che da anni si espande in regione, ha il plauso della sua direttrice, Laurence Herszberg, orgogliosa di «veder diventare la manfestazione un evento-leader nell’industria audiovisiva, come provano i numeri di quest’anno: una cinquantina di serie in anteprima, oltre 54mila partecipanti e 2500 accreditati al Forum, dove si sviluppano confronti internazionali su tecnica e produzione». Non a caso, dei programmi di Séries Mania sono poi previste repliche in Australia e in Corea.

Dell’edizione 2021 – che ha visto tra l’altro premiata dal pubblico la coproduzione franco-italiana Grminal (con la nostra Valeria Cavalli), a 135 anni dall’opera di Emile Zola, in concorso internazionale insieme a Anna, dal romanzo di Ammaniti – tira un bilancio positivo anche il direttore artistico, Frédéric Lavigne, alla testa della rassegna da 11 anni, da quando si svolgeva al Forum des Halles a Parigi, prima del trasloco a Lille, date le aumentate proporzioni, 4 anni fa.

«Quest’anno abbiamo visionato 400 serie di 22 Paesi» ci dice Lavigne «secondo criteri che prilegiano la diversità culturale, senza inchinarci al predominio produttivo statunitense. Posiamo vedere le ragioni del successnel fatto che sempre più nelle ultime stagioni le serie si confermano espressione della cultura popolare dominante: davanti al piccolo schermo riuniscono le classi popolari e gli intellettuali. Di qui, una delle ragioni del loro successo planetario».

E per quanto al posto che occupa l’Italia in questa vetrina «L’Italia fa parte di quei Paesi, come la Francia, che fino a qualche anno fa s’erano bloccati sulle serie di un’ora e mezza a episodio. Sky e produzioni come Gomorra hanno fatto cambiare la Rai, rilanciando le sue serie in campo internazionale. Un nostro rimpianto è di non aver potuto inserire nel concorso delle anteprime mondiali Sorrentino con il suo Young Pope, perché ogni volta ce lo soffiava la Mostra di Venezia. L’Italia è ora in prima linea nelle serie con la Spagna e la Germania, gli altri due giganti addormentati davanti alle possibilità offerte dai nuovi format tv e che ora si sono risvegliati. Come la Francia, che può disporre, oltre che dei canali nazionali, di Canal+ e della piattaforma Arte».

Sempre più, nelle serie, emergono e s’impongono le donne: attrici, sceneggiatrici, registe. Non solo Henriette Steenstrup, autrice e protagonista della ‘drammedia’ Porni, la serie più vista in Norvegia, ma anche la nuova serie di Julie Delpy, On the Verge, cronaca corale nella Los Angeles pre-Covid su quattro amiche in bilico tra professione e famiglia, e, soprattutto, per Arte, Nona et ses filles, cioè Miou-Miou, incinta a 70 anni e le tre figlie, Virginie Ledoyen, Clotilde Hesme e Valérie Donzelli, anche regista. «Ci sforziamo al massimo di favorire la diversità », precisa Lavigne, consapevole che le serie non sono l’Eldorado delle donne, come mostra, dati alla mano, il sociologo Mathieu Arbogast. Solo il 40 per cento è donna nelle serie prodotte in Francia dal 2000.

E dopo i 45 anni l’abisso: solo il 15 per cento le attrici sopra i 50 anni contro il 38 per cento dei colleghi maschi. Eppure Miou-Miou (80 film e 10 telefilm in mezzo secolo di carriera) spiega al pubblico di Lille con la consueta dolcezza pungente quanto possa essere sorprendente sviluppare sullo schermo un soggetto tabù come i rapporti nella vecchiaia: « Che bello, mostrare l’amore tra due persone di 70 anni, amore che può essere allo stesso tempo tenerissimo e profondamente carnale. È raro assistere oggi a qualcosa del genere, al cinema o in tv».

Altrettanto raro riscoprire Shakespeare in una trasposizione turca contemporanea, con Amleto che è Amleta, cioè una ragazza. Hamlet di Kaan Müjdeci, ruvida reinterpretazione della «peggiore delle tragedie scespiriane», come la liquida il giovane regista, segna la prima volta di Istambul a Séries Mania. «In Turchia c’è un’enorme produzione di serie ma con format giganteschi (anche due ore a episodio): uno snobismo all’americana. Stavolta, davanti a 7 episodi di 45’, abbiam potuto finalmente avere una prima mondiale in concorso».

Più scespiriana, e più contemporanea, tra le altre prime mondiali, l’israeliana Jerusalem (10×50’), città al limite, spiega il regista, «crogiuolo in cui forze dell’ordine, criminali, religioni monoteiste si confondono e si contendono il minimo centimetro quadrato». Ancor più aspra, Furia (Norvegia-Germania, 8×45’), dove «i tentativi di smantellare una cellula terrorista d’estrema destra – spiega il regista Gjermund S. Eriksen – ribadiscono gli allarmi europei, di bruciante attualità, sulla crescita degli estremismi. Tormento soprattutto esistenziale invece in un’altra serie israeliana , The Echo of your Voice (10×45’), dramma musicale su tre generazioni d’artisti, che è valso il premio al protagonista, una specie di Franco Battiato intermedio, in conflitto con il padre-mito e il figlio dal talento emergente, che va protetto dalle insidie del consumo : «Mai diventare un prodotto».