Missili con un raggio di 150 km, più del doppio dei 70 coperti dagli Himars forniti sinora dagli Stati uniti all’Ucraina. Questo si troverebbe nel pacchetto di armi del valore di due miliardi di dollari che gli Usa stanno approntando per Kiev, secondo quanto riferito a Reuters da due funzionari statunitensi informati del piano, che dovrebbe essere reso pubblico in settimana.

Gli Stati uniti hanno quindi rigettato la richiesta ucraina dei sistemi missilistici Atacms, che coprono una distanza di 300 km, e che ieri il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba diceva di stare negoziando con Washington. La Ground Launched Small Diameter Bomb (Glsdb) – prodotta da Boeing – alza però comunque in modo significativo il potere offensivo delle truppe ucraine, infrangendo un altro “tabù” nei tesissimi rapporti occidentali con Mosca.

«SÌ, QUESTO innalza il livello dell’escalation», ha affermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. «Ci impone di fare sforzi ulteriori ma, ancora una volta, questo non cambierà il corso degli eventi. L’operazione militare speciale continuerà». Gli fa eco il capo dei servizi segreti esteri russi Sergei Naryshkin, che in un’intervista all’agenzia statale Ria ha accusato la Nato di «alzare la posta in gioco». «Ancora sognano una sconfitta strategica della Russia, ma questo non accadrà». L’escalation militare diventa anche oggetto di una taglia imposta da una compagnia privata russa, Fores, sui carri armati Leopard e Abrams in arrivo da Europa e Stati uniti: vengono offerti cinque milioni di rubli ai soldati moscoviti che per primi ne distruggeranno uno, una iniziativa ben accolta dal Cremlino.

Ma gli “alleati” occidentali continuano per ora a stabilire un limite: non verranno inviati a Kiev aerei da combattimento. Oltre al premier britannico Rishi Sunak – che si oppone al protagonismo belligerante del suo predecessore Johnson – lo ha ribadito ieri il vice cancelliere tedesco Robert Habeck: «C’è una differenza fra i carri armati e i jet da guerra».

INTANTO – nel corso della sua visita in Asia, dall’università Keio di Tokyo – il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha puntato il dito contro «l’avvicinamento» di Russia e Cina. Specialmente in materia militare: «I significativi investimenti della Cina, e le sue nuove e accresciute capacità militari mettono in evidenza il rischio che rappresenta non solo per la Nato ma anche per i suoi alleati». «La sicurezza non è una questione regionale, ma globale». Immediata la risposta di Pechino, attraverso il portavoce degli Esteri Mao Ning: «Vorrei sottolineare che l’Asia non è n campo di battaglia del contesto geopolitico, e che non accoglie volentieri la mentalità da Guerra fredda e scontro tra blocchi».