A Gaza non c’è alcun rifugio, le bombe cadono su chi fugge
Israele/Palestina Oltre 2.200 palestinesi uccisi, quanti ne morirono nel 2014. Ma allora durò due mesi
Israele/Palestina Oltre 2.200 palestinesi uccisi, quanti ne morirono nel 2014. Ma allora durò due mesi
All’improvviso ieri sera i bengala sparati verso l’alto dall’esercito israeliano hanno illuminato il buio di Gaza, senza elettricità da giorni. Luci che alcuni hanno interpretato come un segnale dell’invasione di terra sul punto di scattare, forse nel cuore della notte.
Sappiamo che stanno per entrare e che saremo in pericolo con i nostri pazienti, come in questi giorni sotto i raid. Ma non andiamo via, restiamo qui Hanin Wishah
«SAPPIAMO che stanno per entrare e che saremo in forte pericolo, assieme ai nostri pazienti, come lo siamo stati in questi giorni sotto i bombardamenti aerei. Ma non andiamo via, restiamo qui». Hanin Wishah dell’ospedale Al Awda non ha dubbi, così come non li hanno avuti quasi tutti i suoi colleghi. Israele ha intimato anche a loro, come a tutti i palestinesi che vivono e lavorano nel nord della Striscia di Gaza, di spostarsi subito verso sud.
«Non possiamo evacuare l’ospedale, abbiamo pazienti che non sono trasportabili a causa delle ferite subite dai raid aerei o malati gravi ricoverati qui prima del 7 ottobre. Inoltre, il nostro reparto di ostetricia assiste le partorienti in tutto il distretto, come possiamo abbandonarle? Siamo personale medico e pazienti e dovremmo essere protetti, non cacciati via», ci dice Wishah. La sua voce è un misto di preoccupazione e tristezza. Per le conseguenze che si prevedono per l’offensiva israeliana sul punto di scattare e per il suo collega Mohammed Majdalawi che qualche ora prima ha appreso che gran parte della sua famiglia è stata decimata da una bomba.
ANCHE i medici e gli infermieri di un altro ospedale nel nord di Gaza rifiutano di evacuare, è il Kamal Adwan specializzato in pediatria. Fino a ieri aveva 150 pazienti ricoverati, in gran parte bambini ma anche feriti dagli attacchi aerei. L’assistenza alle donne incinte di Gaza, decine di migliaia, è uno dei problemi più stringenti dell’emergenza umanitaria che stanno creando i bombardamenti aerei e lo sfollamento forzato. Amal Abu Aisha, fuggita verso sud due giorni fa, ha allertato gli operatori di ActionAid sulle condizioni di sua figlia Razan, vicina a partorire e rimasta a casa senza nessuno che possa prendersi cura di lei.
«NON SO COSA fare, suo marito sta svolgendo il suo dovere di medico in questa difficile situazione. Non posso raggiungerla e lei non può spostarsi a causa degli attacchi aerei e del sovraffollamento degli ospedali…Non riesco a immaginare come possa sopportare da sola i forti dolori del travaglio», ha raccontato piangendo «Siamo particolarmente preoccupati – afferma Riham Jafari, coordinatrice di ActionAid in Palestina – per l’impatto devastante (dello sfollamento) sulle 50mila donne incinte presenti a Gaza e sui neonati, lasciati senza cure mediche essenziali e senza la sicurezza che meritano, mentre viene chiesto alla popolazione civile di compiere la scelta impossibile di fuggire senza alcuna garanzia di sicurezza o di rimanere a rischio di morte quasi certa». Nel sud della Striscia non c’è la possibilità di assorbire e assistere i pazienti negli ospedali locali già al limite delle loro capacità. Come le strutture sanitarie faranno ad assistere la popolazione nelle prossime settimane è l’interrogativo che lacera gli operatori umanitari. L’esercito israeliano incurante di ciò continua la sua pressione. E ieri agli sfollati ha detto di utilizzare due strade principali come corridoi sicuri tra le 10 e le 16. Video postati sui social mostravano auto dirette a sud prese di mira dall’aviazione.
INTORNO a Gaza la scorsa notte c’erano decine di migliaia degli oltre 300mila riservisti israeliani mobilitati nei giorni scorsi. I comandi li descrivono pronti per l’invasione del nord di Gaza. L’intento è quello di rioccupare la metà della Striscia. Nelle ultime ore alcuni esponenti politici vicini a Netanyahu, hanno rivelato che «Gaza sarà più piccola in futuro». Più o meno 200 dei suoi attuali 400 chilometri quadrati, in cui dovrebbero vivere in condizioni disumane oltre due milioni di persone. Si è capito che l’attacco iniziale sarà portato in modo massiccio in più aree e punterà subito al controllo del capoluogo Gaza city (quasi mezzo milione di abitanti), la roccaforte di Hamas nella Striscia. Saranno impegnate quattro divisioni, insieme a forze navali e unità speciali. «L’obiettivo di questa operazione è distruggere Hamas, privandolo di tutte le capacità militari e della governance in modo che sia sostituito con qualcos’altro», ha rivelato Amos Yadlin, ex generale e capo dell’intelligence militare israeliana. Obiettivo che con ogni probabilità costerà la vita di non pochi soldati israeliani, aspetto che ha frenato i passati governi israeliani.
Hamas conta su una milizia (Ezzedin Al Qassam) forte di 20mila uomini, ben addestrata e disciplinata, che si è preparata alla guerra aperta e può muoversi sottoterra grazie a una rete di gallerie. Di sicuro venderà cara la pelle.
LE FORZE ISRAELIANE fanno sapere di avere armi e munizioni in abbondanza grazie al ponte aereo organizzato dagli alleati statunitensi. Joe Biden e il segretario di stato Blinken da un lato dicono che «la stragrande maggioranza dei palestinesi non fa parte di Hamas» e dall’altro inviano a Israele i missili e le bombe da scaricare su Gaza. Ne sanno qualcosa gli abitanti di Tel el Hawa, di Deir al Balah, di Shate e del campo profughi di Nusseirat dove nelle ultime ore i bombardamenti hanno fatto decine di morti e feriti.
A KHAN YOUNIS gli aerei israeliani hanno colpito un edificio di quattro piani lasciando sotto le macerie una decina di persone. «Sono bloccate lì sotto e finora non siamo riusciti a tirarli fuori. Questo è un genocidio, non una guerra, è un genocidio», urlava ieri un sopravvissuto, Mohammed Sadeq. In una settimana i palestinesi uccisi sono 2.268, più o meno lo stesso numero di Margine Protettivo del 2014 che però durò quasi due mesi. 45 intere famiglie sono state cancellate.
Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha detto ai cittadini americani a Gaza, quasi tutti palestinesi con la doppia cittadinanza, di raggiungere Rafah in vista di una possibile riapertura del valico con l’Egitto. Israele, attraverso un portavoce, ha già avvertito che da Rafah non passeranno persone o merci senza la sua approvazione.
A GAZA ci sono più di 500 americani e centinaia di altri stranieri, tra cui operatori dell’Onu e membri di ong. Meno di un mese fa i palestinesi con cittadinanza Usa avevano ottenuto di poter uscire da Gaza attraverso Israele e di partire per l’estero dall’aeroporto di Tel Aviv. Ora saranno fortunati se riusciranno a passare da Rafah come sfollati.
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