Le Nazioni unite suonano la sveglia alla comunità internazionale sull’Afghanistan, alla ricerca di quella postura comune che non è di casa neanche al Palazzo di vetro di New York. Nessun riconoscimento dell’Emirato, denuncia delle politiche discriminatorie, ma «non possiamo disimpegnarci».

Così il segretario generale Onu, Antonio Guterres, nella conferenza stampa che martedì ha chiuso a Doha, in Qatar, la due giorni a cui hanno partecipato più di 20 inviati speciali di altrettanti Paesi. Nonostante le dichiarazioni sul «non dimenticheremo l’Afghanistan», l’Italia non ha partecipato, secondo i comunicati Onu.

L’ONU, al contrario, prova ad affrontare il nodo: non abbandonare gli afghani a se stessi e nelle sole mani delle autorità di fatto, i Talebani. I quali discriminano sistematicamente le donne, mentre è in corso quella che Guterres martedì ha definito «la più grave crisi umanitaria del mondo. Il 97% degli afghani vive in povertà. Due terzi della popolazione – 28 milioni – avranno bisogno di assistenza umanitaria quest’anno per sopravvivere. Sei milioni di bambini, donne e uomini afghani sono a un passo da condizioni di carestia».

La conferenza stampa di Guterres non era prevista. È un atto dovuto, dopo che a metà aprile la vice-segretaria, Amina Mohammed, aveva accennato alla necessità di fare «piccoli passi» per un dialogo politico con i Talebani. Usando anche la leva del loro appetito per il riconoscimento dell’Emirato.

Le sue parole hanno scatenato un putiferio. Fuori dall’Afghanistan, tra le comunità della diaspora, e in parte all’interno del Paese, dove tre giorni fa gruppi di donne hanno manifestato contro l’Onu. Così, a Doha Guterres ha dovuto scandire bene le parole: nessun riconoscimento, «non rimarremo mai in silenzio di fronte agli attacchi sistemici e senza precedenti ai diritti delle donne e delle ragazze».

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Ma l’Onu continuerà a lavorare in Afghanistan. Ha ricordato poi la risoluzione 2681 del Consiglio di sicurezza del 27 aprile, «che chiede la piena, equa, significativa e sicura partecipazione di donne e ragazze in Afghanistan».

Ma il Consiglio di sicurezza è spaccato sullo stesso mandato di Unama, la missione Onu a Kabul, come sono divise tra loro le diverse agenzie delle Nazioni unite dopo che i Talebani, ad aprile, hanno vietato alle donne afghane di lavorare per loro.

A DOHA, dove i Talebani non erano invitati, l’intesa comune invocata da Guterres non si è trovata. Ma si è posto l’accento sulla necessità di provarci. Mentre in Afghanistan si sospetta che, ancora una volta, le vere preoccupazioni degli stranieri siano droga e antiterrorismo, solo a parole i diritti delle donne.

Il disinteresse è misurabile. Pur trattandosi della più grave crisi umanitaria nel mondo, gli aiuti scarseggiano: nell’ultimo Piano di risposta umanitaria, l’Onu ha chiesto 4,6 miliardi di dollari. Ma «ha ricevuto appena 294 milioni di dollari – il 6,4% del finanziamento totale richiesto», ha notato Guterres. Anche se arrivassero tutti, sarebbero una misura-tampone, emergenziale.

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I problemi del Paese sono strutturali e vanno ricondotti anche alla lunga, sanguinosa parentesi chiusa con la vittoria dei Talebani. Il Paese dipende dall’esterno: negli anni della presenza straniera, arrivavano otto miliardi di dollari l’anno. Ora, meno di quattro. I Talebani dicono di essere in grado di cavarsela da soli. Non è così.

Per rimettere in piedi l’economia, che dall’agosto 2021 si è contratta di più del 20%, non basta l’umanitario: servirebbe cooperazione allo sviluppo e un’economia non strangolata dalle sanzioni e dal blocco all’estero dei fondi della Banca centrale. I governi hanno tirato i remi in barca. A causa delle politiche discriminatorie dei Talebani, si giustificano. Ma il disimpegno non è la soluzione, insiste Guterres. Serve più politica, non meno politica, per risolvere il «dilemma afghano». La politica del governo italiano sull’Afghanistan, quale è?