Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono due avvocati in sciopero della fame da più di 200 giorni, convertito ormai in uno sciopero della morte. Entrambi si trovano in carcere dal 12 settembre 2018 e sono iscritti all’Associazione dei Giuristi progressisti. L’accusa rivolta sia a Timtik sia a Ünsal è quella di «appartenere all’organizzazione terroristica Dhkp-c», secondo le dichiarazioni di un testimone anonimo. Per questo Ebru Timtik è stata condannata a 13 anni e 6 mesi e Aytaç Ünsal a 10 anni e 6 mesi. Gli avvocati chiedono un processo giusto basato sui principi della giurisdizione.

Timtik e Ünsal fanno parte di un maxi processo in cui sono coinvolti altri 16 avvocati, condannati in totale a 159 anni di carcere. Per tutti i casi il giudice si è basato sempre sulle dichiarazioni del testimone anonimo.

Secondo il presidente dell’Albo dei Legali di Istanbul, Mehmet Durakoglu, si tratta di un processo ridicolo. «Durante le udienze era il procuratore a ricordare al testimone certe sue dichiarazioni. Inoltre si tratta di una persona che è stata utilizzata in circa 100 processi tra cui anche il maxi processo che riguarda la rivolta popolare del Parco Gezi del 2013. Questo fatto non ha nessuna base giuridica». Secondo Durakoglu, anche le domande del giudice erano inutili e maliziose. «Perché lavorate come avvocati? È una domanda fuori luogo e non riguarda l’accusa che gli è stata rivolta. Qui si mette in discussione il lavoro che fanno questi due avvocati».

Tra le persone che seguono il caso di Timtik e Ünsal c’è anche Sezgin Tanrıkulu, avvocato e parlamentare nazionale del principale partito dell’opposizione, il Partito popolare della Repubblica, Chp. «In realtà gli avvocati, che erano già in carcere, il 10 settembre 2018 sarebbero stati scarcerati ma quel gruppo di giudici è stato tolto dal processo e in poche ore la decisione di scarcerazione è stata annullata». Tanrikulu segue l’andamento del caso degli avvocati e informa i cittadini in continuazione attraverso il suo canale web tv e l’account Twitter.

Durakoglu sottolinea un punto molto importante: «Abbiamo assistito al fatto che non si tratta assolutamente di un processo accettabile dal punto di vista giuridico. Anche gli avvocati possono essere processati ma tutti i cittadini hanno diritto ad un processo giusto. Spero che il ricorso fatto presso la Cassazione sarà accolto».

Intanto, a fine giugno, tramite una lettera che ha scritto il suo avvocato, il testimone anonimo si è rivolto alla Cassazione specificando che a causa dei suoi problemi psicologici le sue dichiarazioni non sarebbero da prendere in considerazione. Nella sua lettera, il testimone anonimo, in carcere da 13 anni, si definisce una persona traumatizzata per via del suo coinvolgimento nel mondo del crimine dall’età di10 anni.

Sembra evidente che si tratta di un processo fortemente politico. Ma perché? Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono sempre stati due avvocati “scomodi” per il disegno politico ed economico che strozza la Turchia da circa 20 anni. Hanno difeso i diritti dei minatori sfruttati, dei familiari degli operai vittime degli incidenti nei grandi cantieri edili, dei contadini che resistono contro le centrali idroelettriche che distruggono i campi agricoli e le acque dell’Anatolia, delle donne vittime di violenza maschile sempre più diffusa e non punita, e dei cittadini che hanno alzato la testa contro il governo durante la rivolta popolare di Gezi, criminalizzata dal governo e dai media main stream.

Attorno a Timtik e Ünsal è nata una rete di solidarietà in tutto il mondo. Centinaia di avvocati, associazioni, politici e semplici cittadini seguono il loro caso e cercano di fare tutto il possibile perché questi due avvocati restino in vita e siano scarcerati. Circa 15 giorni fa sono stati trasportati entrambi, con forza e contro la loro volontà, in ospedale e sono trattenuti nelle stanze senza aerazione.

Quelle poche informazioni fornite sulle loro condizioni di salute confermano che siamo in una fase estremamente pericolosa. In questi giorni numerosi presidi di solidarietà sono stati dispersi dalla polizia e i manifestanti sono stati arrestati.

In Turchia ancora una volta c’è il rischio di morire, non di fame per il cibo, ma per la mancata giustizia.