Nonostante la gara d’appalto per la costruzione della pista da bob di Cortina d’Ampezzo sia andata deserta, così come la chiamata per inviti mirati, Simico sarebbe intenzionata a tirare diritto, con una procedura di affido diretto a un costruttore tra Webuild e Pizzarotti, per un importo sui 120 milioni di euro. In tutto questo, la proposta di Innsbruck, che si offre di ospitare la competizione olimpica con un contributo dell’Italia pari a 12-15 milioni, è stata ignorata. Alcuni media riportano la tesi per cui la pista andrebbe comunque realizzata a Cortina «per una questione di orgoglio e prestigio nazionale». Il tema assume quindi una dimensione nuova, di carattere culturale, e così ne abbiamo parlato con Marco Albino Ferrari: lo scrittore ha recentemente pubblicato Assalto alle Alpi, un libro che tratta di come l’ambiente montano continui a subire un’aggressione senza fine, ed è andato in bici da Cortina a Innsbruck, per mostrare in modo volutamente provocatorio che la distanza tra le due città non è tale da giustificare un nuovo impianto, con i relativi costi ambientali, economici e sociali.

La tua esperienza tra Cortina e Innsbruck – al di là del gesto- cosa ti ha permesso di toccare con mano?

Ho visto un luogo che è diventata un’isola separata da tutto il resto: appena esci da Cortina, entri in un tessuto sociale, culturale, ambientale omogeneo, che sono le Alpi. C’è un continuum del territorio, mentre Cortina si ritaglia come un’isola orientata a un turismo del lusso. Non è un male da un punto di vista moralistico, ma questa scelta portata agli estremi non permette più agli ampezzani di vivere bene: i prezzi sono troppo alti, gli affitti irraggiungibili. Parte della popolazione è costretta al pendolarismo perché non può più vivere a Cortina. Anche lo sci non va demonizzato: ha portato grossi benefici, ma quando in un paese il numero dei turisti sovrasta quello di chi ci abita e non ci sono più servizi, la soglia massima è stata superata. La vicenda olimpica però conferma che si continua a puntare tutto su quel modello: costruire una pista da bob da 120 milioni che benefici porta alla montagna? Una discesa da 40 secondi a 170 euro di prezzo per il biglietto, a quanti può interessare? Spa, ristoranti di lusso, piste… il valore della natura viene dimenticato. Chi va a Cortina può non sapere se lì vicino ci sono le Tre Cime di Lavaredo o il Cervino, perché la città è scollegata dalle sue montagne.

A Innsbruck cosa hai trovato?

Un impianto perfettamente funzionante, a 168 chilometri da Cortina, che si anima nel momento in cui vengono accese le luci e si riempie il parcheggio di macchine. Altrimenti è un luogo fantasma, tra l’altro per lunghi periodi dell’anno. È una dimensione surreale, alla De Chirico: un luogo slegato dal contesto.

Innsbruck chiede un contributo di 12-15 milioni per ospitare le Olimpiadi, ma nessuno ha risposto alla proposta.

È una trattativa al contrario. Generalmente chi offre qualcosa fa un prezzo e tu acquirente hai interesse a trattare. Qui invece, a priori, l’acquirente dice che viene chiesta una cifra troppo bassa, che non è possibile. In un mondo normale, se non ti fidi metti delle penali che impediscano al prezzo di salire, ma non ti giri dall’altra parte e dici non mi interessa. Non c’è la volontà di sottoscrivere un accordo.

Costruire la pista a Cortina significherà sacrificare 25 mila metri quadri di lariceto: altre cinquecento piante da abbattere, in un territorio già colpito da Vaia.

La tempesta ha colpito principalmente gli abeti rossi, che hanno un apparato radicale fragile. Sarebbe una beffa se adesso i larici, che si sono salvati, venissero abbattuti dall’uomo. Al di là del lato simbolico, nella regione non vedo un problema legato alla deforestazione. Però si va a intervenire in un luogo che storicamente è sempre stato amministrato dalle Regole: un auto-governo il cui principio è gestire il territorio con delle condotte precise: prendere il surplus che la natura offre senza intaccare il patrimonio boschivo della comunità, che è inalienabile. È un valore culturale importante, che qui viene tradito.

Per la pista da bob sono previsti 3 mila metri cubi di prelievo idrico, spese di refrigerazione pari a 700 mila euro l’anno, in un territorio su cui insistono già le piste da sci, che hanno costi idrici ed energetici elevati.

Gli sport invernali dipendono sempre più dalla neve artificiale, nonostante giornate neve che si riducono. Ormai i giorni in cui ci sono temperature valide per produrre neve sono una decina l’anno, il che richiede di costruire bacini artificiali sempre più grandi per l’approvvigionamento idrico. E parliamo di strutture permanenti, non di panchine giganti o ponti tibetani, che un domani possono anche essere rimossi. Sono scelte che testimoniano una miopia: l’incapacità di pensare a cosa faremo domani, puntando tutto sullo sfruttamento del momento.

Cosa ne pensa della motivazione per cui la pista andrebbe costruita per difendere il nostro orgoglio nazionale, per dimostrare che l’Italia sa organizzare le Olimpiadi.

Trovo l’espressione contestabile in sé, ma sposiamo per un istante la causa dell’orgoglio nazionale. È vero che in passato le Olimpiadi sono servite a dare lustro a una nazione, a mostrare le capacità di realizzare infrastrutture. Ma i tempi sono cambiati. Dimostriamo che l’Italia sa sposare davvero la bandiera della sostenibilità, che siamo capofila di una nuova idea di intendere un grande evento. Una via nuova, dove l’attenzione per l’ambiente e un evento internazionale possono stare insieme, invece che farci custodi di un pensiero da retroguardia.

C’è chi sostiene che ormai è tardi per tirarsi indietro, nonostante il Cio abbia ribadito in una recente lettera che le sinergie rappresentano la miglior pratica.

Davvero vogliamo mantenere un impegno in nome di una promessa fatta, anche se sbagliata? Abbiamo sbandierato che avremmo fatto una cosa sbagliata e ora per andare avanti spostiamo l’attenzione dalle alternative alla promessa fatta. È un doppio salto mortale retorico. Il Cio stesso suggerisce la strada giusta da percorrere e d’altronde basterebbe pensare al Tour de France: è il terzo evento sportivo al mondo e non si fanno problemi nell’organizzare alcune tappe all’estero. Sanno che la loro immagine è abbastanza forte. Noi invece sembriamo il provinciale che non vuole parlare un’altra lingua, perché teme di perdere la propria identità.