Ronit non si è fatta intimorire dalla pioggia che da alcune ore cade copiosa su Tel Aviv. Armata di ombrello, protetta da un capello impermeabile, ha raggiunto piazza Habima con largo anticipo sull’orario del raduno anti-Bibi.

«NON POTEVO mancare, tutti devono partecipare perché questo governo ci porterà alla rovina, distruggerà la magistratura e imporrà un potere autoritario», ci dice alzando la voce.

Accanto a noi giovani con tamburi e trombette suonano la carica contro il governo di estrema destra religiosa al potere in Israele dalla fine di dicembre. Alcuni scandiscono «Democrazia, democrazia».

«Qui in piazza Habima – ci dice un altro dimostrante – ci sono gli israeliani che rifiutano il fondamentalismo religioso dei ministri scelti da Benyamin Netanyahu. Vogliono negare i diritti della comunità Lgbtq+ e noi gli stiamo dicendo: non ci riuscirete».

OTTANTAMILA sono gli israeliani scesi in strada ieri a Tel Aviv. La protesta contro il governo si allarga, l’opposizione compatta i ranghi nella difesa del potere giudiziario. Ma è anche una folla diversa da quella di sette giorni prima.

Sventolano poche bandiere palestinesi, si vedono meno striscioni che invocano diritti anche per chi vive sotto occupazione militare. In piazza ieri sera sono arrivati alcuni dei big della politica, non l’ex premier Yair Lapid.

«Vanno bene anche loro, i politici, ma dovranno lottare assieme a noi con onestà, senza cercare compromessi con questo governo fascista», urla Daniel nel nostro registratore. Questa però è solo una metà di Israele, l’altra è con Netanyahu.

Per giorni partiti di opposizione, movimenti e associazioni della società civile, sono stati impegnati a organizzare le manifestazioni a Tel Aviv, Gerusalemme e altre località.

L’obiettivo era portare in strada ieri sera più delle 15mila persone viste a Tel Aviv una settimana fa e mettere in atto una protesta ampia contro il governo di estrema destra religiosa che, oltre a voler rendere impossibile la vita dei palestinesi sotto occupazione – aspetto che in verità interessa a pochi israeliani –, mette anche a rischio diritti civili acquisiti e vuole limitare i poteri e l’autonomia dei giudici.

Non a caso un appello indiretto ma decisivo alla mobilitazione è giunto giovedì dalla giudice Eshter Hayut, presidente della Corte suprema. Hayut ha detto che la riforma del ministro della giustizia Levin «infliggerà un colpo fatale alla capacità dei giudici di servire il pubblico».

HA AGGIUNTO che «il governo della maggioranza non deve trasformarsi nella tirannia della maggioranza». Senza un sistema di controlli ed equilibri sul governo, ha sottolineato la giudice, «i diritti civili e delle minoranze non saranno tutelati».

La riforma infatti garantirà al governo il controllo sulla nomina dei giudici, compresa la Corte suprema che vedrà ridotta la sua facoltà di annullare le leggi e consentirà alla Knesset di riapprovare le leggi respinte con una maggioranza di 61 deputati su 120.

Levin ha respinto seccamente le critiche, affermando che la Corte suprema non può continuare a respingere le leggi approvate dalla Knesset. Ma in trent’anni solo ventidue leggi sono state annullate dai massimi giudici su quasi 2mila.

LA PROTESTA contro Netanyahu vede ora coinvolti in prima linea i partiti dell’opposizione rimasti inizialmente un po’ in disparte. Il capo del partito di Unità nazionale Benny Gantz, ex ministro della difesa, venerdì in un video ha esortato gli israeliani di tutto lo spettro politico a partecipare alla manifestazione a Tel Aviv.

«Chiedo all’opinione pubblica israeliana, da sinistra a destra, di venire a protestare e a far sentire la propria voce. È un dovere civico della massima importanza e non ‘disobbedienza civile’ come affermano coloro che cercano di sopprimere la manifestazione».

L’APPELLO DI GANTZ, senza colore politico, rivolto a tutti, ha posto ai margini la sinistra e i leader politici arabo israeliani. Il proposito, ci spiegano, è togliere l’iniziativa a Standing Together, movimento di base di cittadini ebrei e arabi che si battono per la giustizia economica e sociale e si oppongono all’occupazione dei Territori.

A Standing Together è stato rimproverato di aver programmato interventi di Ayman Odeh, leader del partito di sinistra arabo ebraico Hadash, Naama Lazimi del partito laburista e nota per le sue inclinazioni socialiste, e Avner Gvaryahum dell’associazione Breaking the Silence, gli ex soldati che rompono il silenzio sugli abusi dell’occupazione.

La protesta contro Netanyahu correrà su due binari paralleli che non si incontreranno: su uno camminerà la risposta agli attacchi ai diritti civili e alla magistratura, sull’altro la minoranza esigua che chiede siano denunciate anche le politiche contro i palestinesi.

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Ieri uccisi tre palestinesi. Già 12 nel 2023

Sale a otto il numero di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano in Cisgiordania in una settimana; dodici le vittime dall’inizio del 2023. Le ultime tre uccisioni si sono registrate ieri, a sud di Jenin, nel villaggio di Jabba.

Izz Eddin Basem Hamamreh, 24 anni, e Amjad Adnan Khalilieh, 23, sono stati colpiti nella loro automobile mentre trasportavano un ferito negli scontri a fuoco tra esercito israeliano e combattenti palestinesi, seguiti all’incursione militare nel villaggio. La Jihadi Islami li ha indicati come propri membri. Il terzo, il 19enne Yazan Samer al-Jaabari, è morto ieri per le ferite riportate il 2 gennaio scorso durante un precedente raid israeliano a Jabba.