A voler essere per una volta ottimisti il vertice tra Unione europea e Unione africana che si apre domani a Abidjan, in Costa d’Avorio, potrebbe rappresentare un’occasione di riscatto per i leader africani, fin troppo silenziosi di fronte alle continue violenze perpetrate contro i migranti in Libia almeno fino a quando le immagini della Cnn sul mercato di schiavi nel paese nordafricano non hanno reso necessario intervenire.

I segnali di un’auspicabile inversione di tendenza non mancano: parlando mercoledì scorso a Bruxelles durante la conferenza sull’Africa indetta dal presidente del parlamento europeo Antonio Tajani, il ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Diop ha ricordato come l’Onu abbia definito «inumano» l’accordo fatto con le autorità libiche per fermare le partenze dei barconi diretti in Europa e sottolineato «l’importanza di rivedere» quel patto. «Come si può trattare con uno Stato che viola i diritti dell’uomo, si può collaborare con le milizie?», ha chiesto il ministro.

Richiesta analoga è venuta anche dal presidente dell’Unione africana Alpha Condè, che non ha esitato a indicare le responsabilità europee: «Pensiamo che i nostri amici dell’Ue non hanno alcun motivo per chiedere alla Libia di trattenere i migranti», ha detto Condè parlando a Parigi al termine di un incontro con il presidente Emmanuel Macron. «Sappiamo tutti che in Libia non c’è un governo e non ci sono i mezzi adeguati».

Certo è difficile sperare che le cose possano cambiare in tempi brevi. L’Unione europea si presenta ad Abidjan mettendo sul tavolo un bel pacchetto di finanziamenti destinati allo sviluppo delle economie africane ma è chiaro che su un argomento come l’immigrazione non è intenzionata a trattare. Ai 55 leader africani presenti i capi di Stato e di governo europei chiederanno di rafforzare ulteriormente i controlli ai confini dei loro Paesi (cosa che potrebbe mettere a rischio la libera circolazione già esistente tra alcuni Stati) contribuendo all’addestramento di guardie di frontiera, di aprire campi «gestiti dall’Onu» dove accogliere i profughi ed esaminare le richieste di asilo e di collaborare per i rimpatri e i respingimenti. Un punto, quello dei rimpatri soprattutto dalla Libia, sul quale ieri l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Federica Mogherini ha sottolineato l’importanza di coinvolgere in maniera attiva l’Unione africana.

Sull’altro piatto della bilancia c’è invece l’impegno a investire, come previsto nell’External investiment plan varato da Bruxelles, 44 miliardi di euro in cinque aree già individuate dalla Commissione europea e che riguardano le energie sostenibili, aiuti alle piccole e medie imprese, l’agricoltura, le città sostenibili e il digitale. In più la promessa, fatta da Tajani, di lavorare perché nel prossimo bilancio pluriennale dell’Unione si arrivi a dotare il Fondo per l’Africa di almeno 40 miliardi di euro. «Grazie all’effetto leva e alle sinergie con la Banca europea di investimento – ha spiegato il presidente dell’europarlamento – si potrebbero mobilizzare investimenti pubblici e privati per circa 500 miliardi». E’ il «piano Marshall» per l’Africa tante volte invocato.

Dietro l’attenzione degli europei c’è più di una preoccupazione. Un terzo degli africani oggi vive sotto la soglia di povertà, un sesto necessita di assistenza umanitaria mentre nelle zone rurali il 60% degli abitanti vive con meno di un euro al giorno. Le stime demografiche dell’’Onu dicono inoltre che entro il 2050 l’Africa raddoppierà la propria popolazione arrivando a toccare i 2,5 miliardi, il 60% dei quali sotto i 30 anni (già oggi ogni settimana nasce un milione di bambini). Sempre nel 2050 una Paese come la Nigeria avrà raggiunto i 400 milioni di abitanti.

Questo significa che servono 20 milioni di posti di lavoro l’anno se davvero si vuole aiutare il continente africano. «Desertificazione, carestie, pandemie, terrorismo, disoccupazione, malgoverno alimentano l’instabilità e contribuiscono all’immigrazione fuori controllo», ha concluso Tajani. Viaggi disperati che, al di là di certi luoghi comuni, non hanno come destinazione principale l’Europa dal momento che l’86% degli spostamenti avvengono all’interno dell’Africa.

Seppure in ritardo l’Europa prova dunque adesso a cambiare il proprio approccio puntando alla creazione di un partenariato paritario che garantisca un futuro sviluppo economico in cambio, però, di una maggiore collaborazione nel porre fin da ora un argine alle migrazioni.