Stavolta la trasferta a Mosca di Viktor Yanukovich (nella foto reuters con Putin) non è stata interlocutoria. Il presidente ucraino torna a casa con un bottino ricco, pesante. Ha ottenuto da Putin quello che voleva: taglio dei prezzi del gas e iniezione corposa di denaro. Kiev pagherà l’oro azzurro importato da Mosca 268 dollari a metro cubo, rispetto agli attuali 400. Un terzo di meno. Quanto ai soldi, Mosca s’è impegnata a comprare bond governativi ucraini per un valore di quindici miliardi di dollari.
È esattamente la cifra che serve a Kiev per scongiurare lo spettro della crack e tirare avanti per un altro po’. Ed è lo stesso importo, non un decimale in più, con cui l’Ucraina aveva negoziato a lungo con il Fondo monetario internazionale, arrivando poi a sospendere le trattative, sia con il fondo e sia con l’Unione europea. Gli accordi di associazione e i protocolli sul libero scambio proposti da quest’ultima e rifiutati in extremis da Yanukovich erano sotto molti aspetti collegati proprio al dialogo con il Fmi, che chiedeva a Kiev riforme onerose. Una riguardava l’aumento delle bollette domestiche del gas. Cosa non in linea con le politiche paternalistiche della leadership ucraina (fatture basse, consenso alto).
La Russia di Putin non ha chiesto niente di tutto questo. Ha aperto i rubinetti, punto e basta. Pragmaticamente parlando, Yanukovich ha avuto tutto l’interesse a dire sì al pacchetto del Cremlino. Schiva la bancarotta, non deve fare riforme, può usare quei soldi per qualche provvedimento populista che lo aiuti a tirarsi la volata per le presidenziali di inizio 2015.
Si può presumere che gli accordi siglati ieri al Cremlino chiudano la prima fase della partita ucraina. Nel senso che è difficile, molto difficile che Yanukovich rilanci davvero i negoziati con l’Unione europea, come aveva promesso nei giorni scorsi. Del resto il salvataggio della Russia, non certo disinteressato, potrebbe essere tranquillamente vincolato alla richiesta di non ridiscuterli. Sempre che Bruxelles voglia farlo. Tatticamente parlando potrebbe convenirle aspettare e vedere se e quando eventualmente rilanciare.
Un’occasione potrebbero essere le presidenziali del 2015. Dovessero sancire il cambio della guardia, l’Unione europea potrebbe riprendere il discorso interrotto da Yanukovich lo scorso 21 novembre. Il problema è che non sarà facile battere l’attuale capo di stato. Primo: l’opposizione appare divise in tre grossi blocchi (i nazionalisti di Svoboda, il partito della Tymoshenko e i centristi di Vitali Klitschko) e non sembra orientata a trovare un candidato unico. Secondo: le elezioni suppletive di questa domenica hanno assegnato quattro dei cinque seggi parlamentari in ballo al Partito delle regioni di Yanukovich, dimostrando che non è automatico che le proteste di Kiev spostino montagne di voti. Tre, infine: Putin cercherà sicuramente di dare una mano a Yanukovich. Magari con qualche altro regalo, consegnato a ridosso del voto.
E questo, se non è il punto, è un punto da non sottovalutare. Il presidente russo Putin non ha stima dell’omologo ucraino, ma è consapevole che è al momento attuale è l’unico politico che possa offrire a Mosca garanzie. Si dirà che Yanukovich, in questi mesi, ha cercato di fare il grande accordo con Bruxelles, cosa che potenzialmente avrebbe collocato il paese su un fuso politico sgradito al Cremlino. Vero. Com’è vero che il batti e ribatti con l’Ue può essere servito unicamente come diversivo per alzare la posta con Mosca.
In ogni caso Putin ha concesso a Yanukovich solo lo stretto necessario. C’è da credere che dopo il voto del 2015, ammesso che Yanukovich si confermi al vertice, Putin si ripresenterà con nuove pressioni e magari cercherà di trascinare l’Ucraina nello spazio doganale post-sovietico, anticamera dell’Unione eurasiatica, il progetto strategico con cui Putin intende creare con i suoi vicini un’area coesa, meno facilmente permeabile alle incursioni occidentali. Di questo, ieri, non se n’è parlato. Putin, che non è un fesso, sapeva che se avesse forzato, imponendo l’adesione dell’Ucraina come contropartita, avrebbe potuto dare munizioni micidiali ai dimostranti di Kiev. Che non si schiodano dalla piazza e promettono nuove manifestazioni. E ci si chiede fino a quando avranno la forza, fisica e mentale, di starsene lì.