Il mercato mondiale delle auto elettriche potrebbe mandare in fumo ettari ed ettari di foresta e non solo. In sei anni l’isola di Halmahera, in Indonesia, è stata via via corrosa dalle attività minerarie dell’imponente Parco industriale Weda Bay. Quello che resta, secondo gli attivisti, è destinato a scomparire per cedere il posto all’estrazione del nichel. Non è solo la natura ad essere minacciata. Lo sono anche gli Hongana Manyawa, «un popolo incontattato unico» secondo Survival International, l’ong internazionale in difesa dei popoli indigeni. Nel progetto di espansione per l’estrazione di nichel e di altri minerali – denuncia l’organizzazione no profit – sarebbe coinvolta anche Tesla. Il manifesto ha contattato la società per saperne di più ma non ha mai ricevuto risposta.

SUI POSSIBILI ACCORDI tra l’azienda statunitense e il Paese del sud-est asiatico se ne discuteva già qualche mese fa. La multinazionale di Elon Musk era in procinto – secondo alcuni esperti economici – di stipulare un contratto preliminare per un fabbrica che produrrà fino a un milione di auto. «Tesla – denuncia Survival – ha firmato accordi con le compagnie cinesi Hayyou Cobalt e Cngr Advanced Material, entrambe collegate all’estrazione del nichel dall’isola di Halmahera. Sebbene la filiera sia segreta e spesso oscura, è molto probabile che il nichel estratto dall’isola finisca nelle macchine Tesla».

QUELLO CHE AL MOMENTO è certo è che tra i programmi del governo indonesiano vi sarebbe la destinazione d’uso di molti territori all’attività mineraria, con l’obiettivo di confermare il primato del Paese nella produzione di batterie per auto elettriche. Sull’isola di Halmahera vivono tra i 300 e i 500 membri incontattati del popolo Hongana Manyawa. Sono cacciatori-raccoglitori nomadi, il cui nome significa appunto popolo della foresta. L’espansione dell’attività mineraria rappresenta – secondo Survival – una reale minaccia alla loro sopravvivenza: «Oggi rischiano di vedere la loro terra e tutto ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere distrutto da multinazionali che si affannano per fornire uno stile di vita apparentemente sostenibile a persone lontane migliaia di chilometri».

PER UTILIZZARE LE TERRE dei popoli indigeni, la legge internazionale obbliga al consenso libero, previo e informato. Nel caso dei popoli incontattati, tale consenso non è possibile riceverlo e impossessarsi dei loro territori e sfruttarli è illegale. Ciononostante, secondo quanto documentato dall’ong internazionale, sull’isola indonesiana vi sarebbero già attività minerarie in corso. Una tra queste sarebbe la Weda Bay Nichel, di proprietà in parte della francese Eramet. L’enorme concessione ricevuta, a partire dal 2019 e destinata a durare per almeno 50 anni, si sovrapporrebbe a quella dei territori degli Hongana Manyawa. Tra i progetti della società francese vi sarebbe anche quello di costruire, assieme alla tedesca Basf, una raffineria. Sempre sull’isola.

GLI ABITANTI NEL FRATTEMPO hanno iniziato a fuggire cercando rifugio nelle aree più interne. Tra le testimonianze raccolte vi è quella di una donna Hongana Manyawa: «Stanno avvelenando la nostra acqua, ci sentiamo come se ci stessero uccidendo lentamente». Survival International nella sua denuncia pone l’attenzione sulla contraddittorietà tra il «consumo etico» che è sotteso al mercato delle auto elettriche e la filiera della produzione che è implicata in gravi violazioni.

«NON C’È RISPETTO DEL CLIMA – fa sapere la direttrice generale Caroline Pearce – nel devastare la foresta degli Hongana Manyawa, e niente di «sostenibile» nel causare la morte di indigeni che vivono in modo autosufficiente. Tesla e altre compagnie produttrici di auto elettriche hanno la possibilità di essere all’altezza delle aspettative dei loro clienti e di evitare un’orribile – oltre che illegale – aggressione ai diritti umani, impegnandosi a garantire che nessuno dei minerali che acquistano provenga dalle terre dei popoli indigeni incontattati di Halmahera. Se non lo facessero, sarebbe come affermare che le loro vite sono sacrificabili».

IL TENTATIVO DI MODIFICARE lo stile di vita di questo popolo, portandolo dal nomadismo alla sedentarietà, è precedente all’arrivo delle multinazionali. Il governo indonesiano ha provato ripetutamente a costruire case con l’obiettivo di «civilizzarli».

LA SCELTA DI QUESTO POPOLO di non entrare in contatto con il resto della società è ben visibile in alcuni video che ritrae alcuni membri intenti a difendersi con lanci di pietre e rami come monito ad allontanarsi. Gli Hongana Manyawa vivono di raccolta e caccia. Si cibano di cinghiali e cervi. Utilizzano frequentemente per assorbire carboidrati la palma da sago. La foresta è tutta la loro vita e assume un valore anche spirituale. Per loro gli alberi hanno anima e sentimenti. Infatti non li abbattono per ricavare legname. Le case sono costruite con foglie e rami e dopo un certo periodo di tempo vengono abbandonate per consentire alla natura di rigenerarsi.

UN ALBERO VIENE PIANTATO ad ogni nascita e, come atto di gratitudine e di auspicio che cresca assieme al nascituro, tra le radici viene seppellito il cordone ombelicale. A custodire i morti, invece, c’è un’area della foresta dove – secondo questo popolo – abitano gli spiriti. Hanno un’ampia conoscenza delle proprietà medicinali delle erbe. Entrare in contatto con persone esterne al popolo rappresenta per loro una grande minaccia, in primo luogo per le malattie che potrebbero contrarre non avendo sufficienti difese immunitarie.

L’OSTRACISMO NEI LORO confronti è molto diffuso. Sono una minoranza etnica oggetto di critiche razziste. Vengono descritti come «primitivi» e spesso accusati di reati che non hanno compiuto. In un contesto già così critico, oggi si aggiunge un’ulteriore minaccia rappresentata dall’industria green, sebbene di ecologico nel nichel estratto sull’isola di Halmahera sembrerebbe non esserci traccia.