«Lo scandalo emissioni è un disastro morale e politico». Parole inequivocabili, quelle che il presidente ad interim del consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) della Volkswagen, Bertold Huber, ha pronunciato ieri pomeriggio, poco dopo avere annunciato il nome del nuovo amministratore delegato. Sarà, come previsto, Matthias Müller, fino a ieri a capo della controllata Porsche, uomo che conosce bene l’azienda e che è sempre stato considerato il delfino del suo predecessore improvvisamente caduto in disgrazia, Martin Winterkorn. Di fronte a Müller, dunque, innanzitutto il compito di «riscattare moralmente» un’impresa-simbolo di quel «modello Germania» spesso e volentieri offerto come esempio di virtù a cui tutti, in Europa, dovrebbero uniformarsi. «Uno scandalo del genere non può mai più ripetersi», ha affermato il nuovo numero uno fresco di nomina, la cui investitura che sarà ratificata dall’assemblea generale degli azionisti il prossimo 9 novembre – un giorno «pesante» per la storia tedesca: è l’anniversario della Notte dei cristalli e della caduta del Muro di Berlino.

La riunione del consiglio di sorveglianza dell’impresa di Wolfsburg, che ieri ha perso quasi il 4,5% in borsa, ha partorito anche una riorganizzazione aziendale complessiva, il cui senso è la decentralizzazione della gestione, in particolare del marchio principale del gruppo. Oltre a quella dell’ex ad Winterkorn, ieri sono saltate altre teste, ma inaspettatamente non quella di Michael Horn, capo di Volkswagen negli Stati Uniti: rimarrà al suo posto, ma «affiancato» da un nuovo responsabile per il Nordamerica, che di fatto diventerà suo superiore. Annunciato anche il nome del presidente del consiglio di sorveglianza che prenderà il posto di Huber, che ricopre attualmente quell’incarico solo ad interim: Hans Dieter Pötsch, già membro del consiglio di amministrazione. Quello di presidente del consiglio di sorveglianza è un ruolo molto importante nel sistema di governo interno alle imprese tedesche, basato sul principio della co-gestione (Mitbestimmung) fra management e sindacati, i cui rappresentanti siedono in quel consiglio.

E proprio il capo dell’organizzazione dei lavoratori nella Volkswagen, Bernd Osterloh, ieri ha chiesto «una nuova cultura d’impresa, che non nasconda più i problemi, ma li affronti apertamente». Le parole del funzionario della Ig Metall possono essere lette come un’implicita risposta a chi accusa il sindacato – e Osterloh, considerato una sorta di «amministratore delegato aggiunto», in particolare – di «non aver voluto vedere» cosa stesse succedendo in azienda.
Il nuovo ad Müller si è detto «sicuro che la nostra impresa supererà questa crisi, la più grande della sua storia». Dichiarazione che, forse involontariamente, riecheggia quella che la cancelliera Angela Merkel fece nei giorni più acuti della crisi dei profughi – «Wir schaffen das», «Ce la facciamo» – assurta da quel momento a simbolo del «decisionismo umanitario» della leader democristiana.

Nel frattempo, il ministro dei trasporti Alexander Dobrindt (della Csu, costola bavarese della Cdu della cancelliera) ha diffuso il numero di auto con motore diesel «truccato» circolanti nella Repubblica federale: sono 2,8 milioni. Nel novero delle vetture truccate, a detta del ministro, anche veicoli commerciali leggeri del gruppo Volkswagen. Dal governo di Berlino anche un primo segnale in direzione di possibili richieste di risarcimento: un portavoce del ministero della giustizia ha dichiarato che lo scandalo delle emissioni falsificate rientra nei casi in cui i consumatori tedeschi possono trovare soddisfatte tal genere di richieste. Esternazioni prudenti, ma, nella generale parsimonia di dichiarazioni del governo, significative. E proprio contro la debole risposta del gabinetto Merkel si scagliano le organizzazioni ambientaliste (ieri Greenpeace ha manifestato davanti ai cancelli Volkswagen a Wolfsburg) e le opposizioni in parlamento: oltre ai Verdi, molto impegnati in questa battaglia, anche la Linke, che chiede di adottare un piano di emergenza «a tutela della salute e dell’ambiente». Nel mirino della sinistra anche la commissione d’inchiesta istituita dal ministro dei trasporti: «Non è realmente indipendente, non c’è garanzia che possa fare davvero luce sull’accaduto».
A muoversi sembra invece finalmente essere l’Unione europea. Dal primo gennaio dovrebbe cambiare il controverso test di omologazione delle auto, in base al quale si stabilisce se una vettura può circolare o no. I controlli fatti solo sui rulli – da tempo denunciati dalle associazioni dei consumatori e dalle riviste specialistiche – verranno sostituiti da quelli fatti su strada, più rispondenti alla realtà. Una prima conseguenza positiva dello scandalo, dunque, che gli ambientalisti sperano possa non restare l’unica.