Ursula von der Leyen vuole restare altri cinque anni alla presidenza della Commissione, «una decisione consapevole e meditata» ha affermato ieri a Berlino durante la riunione del Consiglio direttivo della Cdu. Il Ppe dovrebbe nominarla spitzenkandidat al prossimo congresso il 6-7 marzo a Bucarest. Sarà poi il Consiglio europeo a proporre il nome per la presidenza della Commissione.

Dal 2002 la maggior parte dei 27 paesi sono governati da partiti che fanno parte del Ppe, che al Parlamento, che ha l’ultima parola, è il primo gruppo, posizione che dovrebbe conservare dopo le elezioni del 6-9 giugno. Finora, già Finlandia, Svezia, Lettonia, Lituania e anche il socialista spagnolo Pedro Sánchez hanno dichiarato l’appoggio a von der Leyen, che il cancelliere tedesco Olaf Scholz non ha intenzione di contrastare (in ogni caso non sostiene l’ex ministra della Difesa di Merkel alla segreteria della Nato). Solo Viktor Orbán le è chiaramente ostile (la Commissione ha congelato i fondi per l’Ungheria per non rispetto dello stato di diritto).

NEL 2019, LA NOMINA di von der Leyen fu un blitz, voluto da Emmanuel Macron e Angela Merkel, per evitare l’arrivo dello sbiadito Manfred Weber. Ursula von der Leyen era passata per soli 9 voti al Parlamento europeo. Quest’anno, ci sono rischi dovuti all’attesa crescita dell’estrema destra. La “maggioranza Ursula” nel 2019 era composta da Ppe, socialisti e democratici (S&D) e Renew. Quest’anno potrebbe aver bisogno di un appoggio di parte del gruppo Ecr, e già la presidente ha preparato il terreno, con la messa in scena dell’intesa con Giorgia Meloni, a Lampedusa, a Forlì, poi ancora a Roma per il lancio del Piano Mattei per l’Africa, incontri che hanno sollevato malumori a Bruxelles.

«Dobbiamo difenderci dalle divisioni, all’interno e all’esterno, sono sicura che ne abbiamo la forza ed è un compito che sono pronta ad affrontare», ha affermato von der Leyen: all’interno, perché nel Ppe ci sono tendenze di accordi con l’estrema destra (come già succede in alcuni paesi dove la destra è in coalizione con gli estremisti) e all’esterno, dove l’onda nera mira a ribaltare la preminenza di una posizione centrista nelle istituzioni europee.

LA RICONFERMA di von der Leyen sarebbe un segnale di continuità per la Ue, in un periodo di successione di crisi. Già si vede la traiettoria: alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, von der Leyen ha proposto un commissario europeo alla Difesa, che dovrebbe essere qualcuno dell’Europa dell’est (già gira il nome del ministro degli Esteri polacco, Rodoslaw Sikorski).

E ieri, in un contatto telefonico con il premier britannico Rishi Sunak, la presidente ha insistito sul sostegno all’Ucraina, che permette a Londra di rimettere un piede nella Ue, oltreché sull’accordo di cooperazione per la lotta all’immigrazione clandestina, tra le agenzie britanniche e Frontex, che sarà reso ufficiale nei prossimi giorni. Ursula von der Leyen nel 2019 aveva promesso una “commissione geopolitica”: nel 2024 la via indicata per ridare forza alla Ue nel mondo è la costruzione di una difesa comune.

Nel primo mandato, von der Leyen si è impegnata per mantenere l’unità dei 27, facendo anche bene o male rientrare Orbán (sull’apertura dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina e sui 50 miliardi di aiuti).

LA PRESIDENTE HA GESTITO il Covid e i vaccini comuni, il Brexit (effettivo il 31 gennaio 2020), la guerra in Ucraina, il Green Deal (proposto dalla Commissione nel dicembre 2019), l’economia digitale. Il prestito comune di 750 miliardi (luglio 2020) ha segnato una svolta.

Sul Covid pesa il Pfizergate, quest’anno è attesa la decisione giudiziaria in seguito alla denuncia contro von der Leyen, per non aver rivelato i contenuti degli scambi di mail con il ceo della società farmaceutica Usa, Albert Bourla. Una sentenza che potrebbe perturbare l’avvio del prossimo mandato.

Ursula von der Leyen ha a lungo dichiarato che il Green Deal era il più importante successo della sua presidenza, ma ultimamente, per non compromettere il futuro, l’entusiasmo è calato. Il Ppe ha fatto pressione per fare concessioni agli agricoltori e per annacquare le norme ecologiche. L’obiettivo delle riduzioni di emissioni di gas a effetto serra per il 2030 sono ormai legge, ma il proseguimento del Green Deal rischia uno stop e von der Leyen sta disertando questo campo di battaglia.

LA POLITICA ESTERA comune, un settore ancora tutto in costruzione per la Ue, le ha causato non pochi problemi: l’ultimo, le critiche dopo un viaggio a Tel Aviv in seguito all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, dove la presidente si è schierata con Israele, senza informare i paesi membri.

In precedenza, la rivalità con il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, le ha fatto subire il sofagate a Istanbul, ordito da Erdogan con la complicità del belga.