Il 19 e 20 luglio saremo a Genova. Attivisti e movimenti di vecchia e nuova generazione, insieme in assemblea, per rinnovare un patto e ricostruire una forte e visibile convergenza anti-sistemica. Fu la capacità di mettere insieme culture, storie, identità, provenienze e temi diversi che ci permise venti anni fa di costruire un movimento contro il neoliberismo grande e dirompente, già nelle sue prime tappe: Seattle e Porto Alegre fino a Genova nel 2001.

Non era impresa facile a quel tempo costruire una contro-narrazione potenzialmente egemone, mentre il sistema dichiarava che la globalizzazione avrebbe distribuito benessere in tutto il pianeta. Non era facile soprattutto in Europa, dove tutta la sinistra mainstream aveva sposato le ragioni del neoliberismo.

Ma ci riuscimmo, con una sorta di gigantesca scuola di educazione popolare a cielo aperto – così, per anni, costruimmo la consapevolezza e la partecipazione che riempiva le piazze in tutto il mondo.

Non era per nulla scontato riuscire a resistere alla violenza di Stato immane che venne scagliata contro quel movimento e su Carlo Giuliani, condannato dai suoi assassini ad avere per sempre venti anni: una ferita ancora aperta, una pagina nera della democrazia italiana per cui poca verità e giustizia è stata fatta, e per cui nessuno ci ha mai chiesto neppure scusa.

E invece fummo capaci di resistere e di rilanciare: l’anno dopo il Forum Sociale Europeo di Firenze fu ancora più grande, e poi la manifestazione più grande mai realizzata al mondo, contro la guerra all’Iraq nel 2003 – 110 milioni in piazza in tutto il pianeta. In tante parti del mondo, dall’America Latina alla Grecia e alla Spagna, quel movimento produsse processi di cambiamento politico e istituzionali. Aldilà degli esiti di fronte alla prova del potere, sono una prova delle potenzialità di una proposta di alternativa di sistema. E, anche laddove il quadro politico non è stato scalfito, quel movimento si è diffuso in mille rivoli e ha prodotto esperienze importanti: il movimento per l’acqua pubblica, che dieci anni fa riuscì a vincere il referendum contro tutti i poteri forti, viene da lì.

Sono passati venti anni, e ogni generazione ha i suoi tempi, i suoi codici, le sue forme. Ma di una cosa Genova ancora parla: per essere all’altezza delle sfide dell’oggi, bisogna ritrovare la voglia, l’entusiasmo, la fatica di mettersi insieme. La situazione è ben peggiore di allora. Le denunce del movimento di allora, che venivano bollate come catastrofiste, ora sono purtroppo senso comune. Il cambio climatico e il biocidio mettono a rischio la vita sul pianeta. La diseguaglianza ha raggiunto livelli inauditi.

La pandemia ha dimostrato quanto fragile e insostenibile sia il sistema mondo in cui viviamo. Quanto la sicurezza di ciascuno dipenda da quella degli altri e dalla natura. Quando ci sia bisogno di pubblico, non di privato. Eppure, i piani per la ricostruzione nella pandemia ripropongono ricette fondate sulla competizione e la crescita. Ci stiamo avviando a tornare a una normalità peggiore di prima.

Siamo dentro a una crisi che è anche una gigantesca crisi di senso: siamo la prima generazione della storia umana che sta distruggendo il futuro a chi verrà dopo di noi. Rispetto a venti anni fa, l’urgenza del cambiamento è assai maggiore. Esiste un malessere diffuso, e anche una maggiore consapevolezza – alle bugie del sistema non crede più nessuno. Ma, in assenza di una nostra proposta forte, la critica al liberismo globalizzato viene in molte parti del mondo cavalcata dalla destra per nutrire sovranismo, razzismo, populismo.

Noi avremmo tante frecce al nostro arco per provare una offensiva politica, sociale e culturale. Per mettere la riproduzione sociale ed ecologica al posto del profitto e per curare davvero questo mondo malato. C’è tanto sapere, tante pratiche, tante alternative realizzate – insieme possono produrre un disegno di nuova società credibile per cui battersi.

Ma frammentati come siamo, rinchiusi nei confini nazionali e ciascuno sul proprio tema, questo disegno diventa illeggibile e poco comprensibile. Se ne approfitta il sistema, che fa apparire in competizione fra di loro diritti e bisogni: ambiente contro lavoro, migranti contro nativi, lavoratori stabili e precari.

Non c’è altra via, se non ritrovare lo spirito convergente di Genova, la sua metodologia, fondata sulla convivenza non gerarchica fra attori sociali e contenuti, sulla ricerca del massimo consenso, sulla semplicità del linguaggio e la radicalità della proposta.  “Voi la malattia, noi la cura”, così andiamo a Genova. Per darci appuntamento in autunno, in una mobilitazione nazionale di convergenza dopo il decennio della frammentazione. Per rinforzare i legami internazionali ed europei, perché da solo non si salva davvero nessuno.

Arci, rete “Genova 2021 – voi la malattia, noi la cura”, genova202q.blogspot.com