Bernie Sanders ha messo a segno una vittoria decisiva nelle primarie del Wisconsin battendo Hillary Clinton per 54%-45%, la sesta vittoria consecutiva per il socialdemocratico del Vermont. Hillary tuttavia conduce ancora  nella classifica generale dei delegati per 1271-1024.

In campo repubblicano Ted Cruz ha vinto la sua quarta primaria battendo sonoramente Donald Trump per 50%-32% (il moderato John Kasich è arrivato terzo col 14%). Il risultato ha interrotto la serie di vittorie di Trump e modificato la narrazione della sua inevitabile nomination, una vittoria dunque per l’establishment del partito che mira a deragliare la sua corsa e che per farlo ha speso 2 milioni di dollari in spot anti-Trump nel solo Wisconsin.

La frattura fra il miliardario newyorchese e il partito che mira a rappresentare è insomma sempre più profonda.

In una nota emessa dalla campagna ieri sera, un portavoce di Trump si è scagliato contro l’establishment chiamando Cruz “un cavallo di Troia impiegato dai boss del partito per rubare la nomination”.

Col voto in Wisconsin le primarie Usa sono arrivate a due terzi del cammino senza tuttavia sbrogliare una matassa fra le più complicate a memoria recente. Soprattutto in campo repubblicano.

Donald Trump in Wisconsin si è trovato nell’inconsueta posizione di sfavorito, grazie anche ai danni provocati dal fuoco incrociato alimentato dalla vecchia guardia del partito ora allineata su un’unica strategia: impedire che ottenga i delegati necessari entro giugno quando si concluderanno gli scrutini dei vari stati.

Trump mantiene un vantaggio di oltre 200 delegati sull’ultraconservatore Cruz che, pur con poche prospettive di rimontare il miliardario, potrebbe comunque guastare la sua corsa ai 1.237 delegati necessari alla nomination, e che a questo scopo viene attualmente strategicamente sostenuto da settori repubblicani interessati soprattutto a bloccare l’ascesa di Trump.

In Wisconsin Trump ha quindi giocato in difesa mentre era impegnato su più fronti, a partire da una polemica con la Fox, la potente televisione conservatrice di Rupert Murdoch.

Normalmente l’investitura dell’emittente è una condizione essenziale per ogni candidato repubblicano, ma come parte della sua aperta rottura con l’establishment del partito, Trump da settimane intrattiene un pubblico litigio con la anchorwoman Megyn Kelly ed il potente direttore Fox News, Bill Ayers.

La Fox, come il resto della stampa, ha dato ampio risalto all’arresto di Corey Lewandowski, il campaign manager di Trump per aver malmenato una giornalista a un comizio (Trump lo ha pubblicamente difeso). Le recenti dichiarazioni del candidato sulla necessità di punire le donne che abortiscono, infine, non lo hanno certo aiutato con un elettorato femminile già non ben predisposto nei suoi confronti.

In questo stato del Midwest, agricolo e deindustrializzato, il suo avversario ha avuto  l’endorsement del governatore Scott Walker, sodale conservatore di Cruz e astro nascente della nuova destra (e lui stesso ex candidato presidenziale). Eletto quattro anni fa, Walker ha fatto del Wisconsin un laboratorio di riforme liberiste attaccando frontalmente i sindacati e riuscendo ad abrogare le regole di contrattazione collettiva.

In Wisconsin Walker e il partito hanno preparato il terreno a Cruz serrando i ranghi contro “l’outsider” Trump riuscendo a rallentarne la corsa.

Ieri erano in palio appena 42 delegati, un numero esiguo nel contesto generale ma il fatto che Trump ne abbia vinti solo 6 ha allontanato un pò di più per lui il traguardo finale dei 1237 delegati che assicurano la nomination.

A due mesi dalle ultime tornate elettorali (mancano una manciata di stati importanti – New York, Pennsylvania, New Jersey, California), i calcoli si spostano quindi sempre più sulla convention di Cleveland che a luglio dovrà in qualche modo incoronare un candidato repubblicano.

Se Trump non avrà raccolto per allora i delegati necessari alla nomination, si apre la prospettiva (sempre più probabile) di una brokered convention – un accordo – in cui una maggioranza di delegati dovrà essere rappezzata con patteggiamenti in loco e trattative dietro le quinte. È questo scenario ormai la migliore speranza del partito dei “Never Trump”,  l’imprecisato ma sostanziale numero di elettori che piuttosto che allinearsi dietro a Trump professano di volersi astenere .

Il loro problema è che il “piano B” più logicamente plausibile è costituito da Ted Cruz, conservatore ortodosso ma inviso al partito quasi quanto lo stesso Trump per essere un saccente inveterato “filbustiere”,  il cui zelo reazionario da lupo solitario ha rotto per anni le uova nel paniere di quasi tutti i potenziali alleati di partito. Di coloro cioè che in una convention aperta si rivelerebbero cruciali per tessere le alleanze necessarie per racimolare un maggioranza.

Con l’occasione del  voto in Wisconsin ha preso  a circolare con maggiore insistenza il nome di Paul Ryan come un potenziale candidato a sorpresa per risolvere la questione  a Cleveland.

Paul Ryan, senatore del Wisconsin e 48enne speaker della camera viene ora apertamente menzionato come candidato ideale da presentare in caso di impasse – alimentando le  speranze di quei repubblicani (molti) che amerebbero cancellare queste primarie da incubo e ripartire da zero. Ma anche questa ipotesi in extremis non sarebbe facile da attuare.

Da un lato necessiterebbe dell’assenso di Cruz a farsi sfilare un sudato secondo posto. Dall’altro garantirebbe praticamente l’insurrezione dei Trumpisti, precipitando una possibile definitiva rottura e una campagna come terzo partito o da candidato indipendente.

In ognuno dei casi è difficile immaginare come un partito così  dilaniato da conflitto interno possa realisticamente affrontare la sfida delle elezioni generali, sia contro Hillary Clinton che, eventualmente, Bernie Sanders.

I due proseguono una primaria assai più combattuta di quanto pronosticato.

Hillary non è ancora in pericolo immediato dato che conta su quasi 500 “super delegati” di partito. Ma se Bernie dovesse continuare ad inanellare successi – anche di misura – magari anche in stati più popolosi, anche la narrazione della sua invincibilità potrebbe seriamente cominciare ad incrinarsi – specie se dovesse accadere a New York.

I due si si affronteranno in un dibattito il 14 aprile, in previsione delle primarie newyorchesi del 19.