Il Vesuvio brucia ancora, ieri mattina le fiamme hanno attaccato località Montedoro, un’area impervia nel comune di Torre del Greco, fiamme spente solo nel pomeriggio. Secondo i primi dati, diffusi il 18 luglio dal gruppo di lavoro dell’Università Vanvitelli, l’area del vulcano percorsa dal fuoco supera i 1.980 ettari: circa 960 ettari di vegetazione sono completamente distrutti; 770 molto danneggiati. Quando si fermeranno le fiamme cominceranno le piogge e la popolazione passerà da un’emergenza all’altra. Il Cnr, infatti, mette in guardia contro i rischi idrogeologici che potrebbero innescarsi con l’arrivo dei nubifragi: «Non solo la perdita del patrimonio forestale, una delle conseguenze dell’incendio boschivo del Vesuvio è l’aumento del rischio di una potenziale invasione di flussi fangoso-detritici nelle le aree urbane, a valle».

L’analisi è stata condotta da Silvana Pagliuca (ricercatrice dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo Isafom-Cnr), dal geologo Valerio Buonomo e da Franco Ortolani, ordinario di geologia e associato Isafom. Il punto di partenza è l’immagine satellitare del cono tratta da Copernicus, dove si vedono le aree devastate dagli incendi, ancora attivi sul versante settentrionale del Monte Somma e in quello sud occidentale del Vesuvio. I ricercatori hanno sovrapposto alla foto delle frecce: «Evidenziano il percorso degli eventuali flussi a valle delle aree incendiate che sono state sovrapposte alle aree classificate a pericolosità idraulica nel Piano di Assetto Idrogeologico». Quello che preoccupa è la mancanza di una rete idrografica, per cui un eventuale deflusso rapido di pioggia potrebbe trascinare i resti degli incendi: «Sul Vesuvio per molti anni si è costruito senza regole – spiega Ortolani -, i valloni lungo i quali scendeva l’acqua piovana spesso sono stati ricoperti per creare strade. I flussi detritici e i percorsi utilizzati dagli abitanti si incrociano. Le vie di scorrimento scendono alle pendici dove ci sono paesi densamente popolati, il flusso fangoso-detritico rapido potrebbe causare devastazioni, soprattutto in seguito a nubifragi intensi».

Gli incendi hanno peggiorato molto il quadro. La cenere che ha ricoperto la superficie del vulcano ne provoca l’impermeabilizzazione, la pioggia non penetra nel suolo ma scorre: «Soprattutto nelle parti più inclinate – prosegue Ortolani -, possono evolvere in un breve lasso di tempo in scrosci catastrofici, in grado di causare danni considerevoli. Come già successo a Montoro Superiore, sono sufficienti 14 ettari di versante boscato incendiato per originare un getto detritico devastante».
Le cittadine a valle sono ad alto rischio perché non dispongono più della difesa naturale offerta dalla vegetazione. Così come si sarebbe dovuto intervenire prima dei roghi, così adesso si dovrebbe celermente procede per prevenire i futuri danni. La Protezione civile il primo agosto ha inoltrato delle «Raccomandazioni operative per prevenire il rischio idrogeologico nelle aree interessate da incendi boschivi», destinatari regioni, province, prefetti, Anci. Nel testo si invita poi a inoltrare le raccomandazioni a tutti i soggetti interessati. «Lunedì c’è stato un vertice in prefettura a Napoli – conclude Ortolani – presenti anche i 13 sindaci dell’area del Vesuvio. Si è discusso di raccomandazioni, di fare attenzione, aggiornare i piani di protezione civile ma nessuna road map operativa. L’impressione, dall’esterno, è che si facciano dei passaggi burocratici per mettersi apposto con le procedure, scaricando però i problemi sull’anello finale della catena, i comuni, per altro spesso con le casse vuote».