Nel dibattito di questi giorni sul tema dei migranti che approdano sulle coste italiane dopo aver attraversato il Mediterraneo anche grazie al soccorso delle navi delle organizzazioni non governative, le parole pronunciate ieri dal nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Bassetti, appaiono come un sostegno nemmeno troppo implicito alla «linea dura» del governo, incarnata dal ministro dell’Interno Minniti, e un sostanziale via libera al codice di condotta imposto dal Viminale alle Ong.

Sì all’accoglienza ma nel «rispetto della legge» e senza dare l’impressione «di collaborare con i trafficanti di carne umana», sono state le parole pronunciate ieri da Bassetti durante l’omelia per la festa di San Lorenzo, patrono di Perugia, diocesi di cui il cardinale ha mantenuto la guida pur essendo stato nominato a maggio – su indicazione dei vescovi italiani – da papa Francesco alla presidenza della Cei come successore del cardinal Bagnasco.

Frasi pacate, di apparente buon senso, che però, contestualizzate, sembrano totalmente allineate a quelle del governo Gentiloni e dei ministri Minniti e Alfano, che a loro volta si sforzano di non lasciare la bandiera della «legalità» – l’ipocrita espressione per giustificare la lotta ai migranti – nelle mani di Salvini e Di Maio.
«Altro motivo di angoscia per me pastore della Chiesa, ma anche cittadino consapevole della necessità della ricerca del bene comune per il suo Paese, è la situazione che riguarda i migranti e i rifugiati», le parole pronunciate ieri da Bassetti. «Questa sfida – ha proseguito il cardinale presidente della Cei – va affrontata con una profonda consapevolezza, grande coraggio e immensa carità», «che però non bisogna mai disgiungere dalla dimensione della responsabilità. Responsabilità verso chi soffre e chi fugge; responsabilità verso chi accoglie e porge la mano». È questo lo «snodo decisivo», secondo Bassetti: «Ribadisco ancora oggi, di fronte alla “piaga aberrante” della tratta di esseri umani, come l’ha definita papa Francesco, il più netto rifiuto ad ogni “forma di schiavitù moderna”. Ma rivendico, con altrettanto vigore, la necessità di un’etica della responsabilità e del rispetto della legge. Proprio per difendere l’interesse del più debole, non possiamo correre il rischio, neanche per una pura idealità che si trasforma drammaticamente in ingenuità, di fornire il pretesto, anche se falso, di collaborare con i trafficanti di carne umana. Dobbiamo promuovere, come ci insegna il Papa quotidianamente, la cultura dell’accoglienza e dell’incontro che si contrappone a quella dell’indifferenza e dello scarto. Ma dobbiamo farlo con grande senso di responsabilità verso tutti».

È un cambiamento di linea della Chiesa italiana, negli ultimi anni sempre sostanzialmente compatta, in consonanza con papa Francesco, nella difesa dei migranti? Probabilmente no. Ma la testimonianza evidente, nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, che le posizioni sono diversificate. Solo pochi giorni fa Marco Tarquinio, direttore di Avvenire (quotidiano della Cei), scriveva in un editoriale che «non si possono commissariare le organizzazioni umanitarie con uomini armati a bordo» e difendeva con forza l’operazione Mare Nostrum, che «ha salvato l’anima all’Europa». E il responsabile immigrazione della Caritas italiana, Oliviero Forti, spiegava che «al di là dei codici, c’è in gioco la vita umana, la nostra preoccupazione maggiore».

Da questo punto di vista, il nuovo presidente della Cei non ha rappresentato una scelta di «rottura» rispetto alla presidenza Bagnasco, caratterizzandosi semmai per un profilo più pastorale e meno politico, ma sempre attento a muoversi con cautela, tenendo conto degli equilibri e dei rapporti di forza, questi sì politici, che si andranno a definire fino alle elezioni. Ed è sempre meglio non restare troppo scoperti, né a destra né a manca.