Editoriale

Verso una regressione di settanta anni

Verso una regressione di settanta anniMurales ad Atene – Lapresse-Reuters

Syriza chiama la sinistra europea Non vi è «Grexit» che non conduca all’esclusione della Grecia dall’Unione europea, che porterà alla disintegrazione di quest’ultima

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 luglio 2015

Perché i Francesi seguono le tappe della «crisi greca» con una tale passione, come se la propria sorte ne dipendesse? Perché è proprio così, ne va del loro destino. Ognuno di noi è coinvolto per ragioni personali, professionali ed intellettuali.

Ma la questione di fondo è quella politica: è l’attualità della politica, la sua resistenza alla governance, la sua capacità di riconquistare il posto che deve occupare in una società di persone libere.

Ecco cinque ipotesi, che credo siano condivisibili, ma di cui sono l’unico responsabile.

La prima è che i cittadini francesi (e gli altri) hanno seguito con passione la lotta intelligente, ostinata, coraggiosa di un governo e dei suoi dirigenti decisi a rispettare il mandato di cui sono stati investiti. Con il passare dei giorni, abbiamo capito che l’obiettivo delle «istituzioni» e della «grande coalizione» che governa in questo momento l’Europa non era né di scongiurare la catastrofe verso cui la Grecia è stata spinta dai vari «piani di aiuti», né di aiutarla a riformare le sue strutture «corrotte» ma di costringerla ad una riconciliazione umiliante, perché il suo esempio non sia contagioso per gli altri. Durante il referendum greco, i cittadini francesi hanno anche capito che le informazioni diffuse da Bruxelles, dall’Eurogruppo etc. e riprese per la maggior parte dalla stampa nazionale erano di parte. C’erano infatti delle alternative!

La seconda ipotesi è che i cittadini hanno capito che il problema è quello del riattivarsi della democrazia, da cui dipende la legittimità dei poteri che ci rappresentano in ogni paese e in Europa. I Greci sono d’esempio e pongono un problema al quale, ovviamente, non possono fornire una soluzione da soli.

La tesi ripetuta da alcune settimane: «La volontà popolare di una nazione non può prevalere sui trattati» è diventato «La Grecia non può prevalere contro la volontà delle altre 18 nazioni». È vero. Bisognerebbe però consultarle nelle forme attive che sono state messe in atto da Tsipras e dal suo governo. Il livello di esigenza democratica si sta innalzando in Europa.

La terza ipotesi è che i Greci incarnano una vera posizione di sinistra nell’opposizione all’orientamento dominante della costruzione europea. Hanno scompaginato lo stereotipo del “populismo” (o degli “estremismi”, che sono confusi in un’unica demagogia ed in un’unica ostilità di principio alla costruzione europea). Tsipras è pro-Europa e contro la politica della finanza. Non abbiamo una posizione analoga in Francia, dove la contestazione passa piuttosto attraverso il Front national.

Questo ci interessa e ci interpella. Da qui la terza motivazione: quale politica di sinistra oggi? Quali discorsi, quali pratiche militanti, quali obiettivi per una sinistra degna di questo nome nel ventunesimo secolo? In Francia stiamo vivendo un momento di depressione, tra una sinistra alleata del liberalismo dominante, dimentica di tutte le sue promesse, e una “sinistra della sinistra” divisa, spesso chiacchierona o esitante. Noi guardiamo verso Syriza, o verso Podemos, per cercare ispirazione, ma sarebbe meglio parlare di emulazione, perché non c’è un modello che si possa importare in modo identico.

Quarta ragione: la resistenza di Syriza ai diktat assassini della Troika, la lotta che adesso dovrà affrontare (perché il referendum non risolve niente, non fa che spostare la questione e rendere più acute le sfide), il che dimostra che l’economia comporta delle scelte politiche. È essa stessa politica.

La grande maggioranza degli economisti (compreso il Fondo monetario internazionale) sa che si deve ristrutturare il debito ed uscire dall’austerità. Ma la vera questione è lo sviluppo armonioso e solidale delle società del continente.

Syriza pone questo problema con forza.

In una Francia che scivola verso il declino e l’ingiustizia, questo problema si pone con forza.

Infine, e non è il punto minore, Tsipras, con il suo governo ed il suo popolo, hanno detto chiaramente che il loro obiettivo non è la fine dell’Europa (verso la quale ci spingono al contrario il dogmatismo e l’ostinazione dei nostri «dirigenti» attuali), ma la sua rifondazione su basi nuove. Il «momento costituente» di cui hanno parlato alcuni di noi dall’inizio della crisi è qui, davanti a noi.

Tuttavia ha la possibilità di concretizzarsi solo se l’opinione pubblica, di tutto il continente, cambia e cambia in fretta, per evitare per prima cosa il Grexit (l’espulsione di una nazione al di fuori della comunità) e per porre quindi la domanda: quale Europa? Per chi? Con quali mezzi? Come i Greci nella loro larga maggioranza, noi siamo a favore della costruzione europea, ma la vogliamo completamente diversa. Noi sappiamo che questa è un’opportunità da non mancare. Grazie ad Alexis Tsipras di offrircela.

Ma non è sufficiente appassionarsi, sperare, rilanciare l’idea di un’altra Europa. Bisogna agire, è urgente. Da quando si è tenuto il referendum greco, la nuova strategia delle «istituzioni» si è messa in moto. La Banca centrale europea, dicendosi costretta dalla situazione del budget greco, a ridotto ulteriormente le autorizzazioni di liquidità (mentre non c’è nessun vincolo di questo tipo quando si tratta di rimpinguare delle banche private la cui dimensione finanziaria è comparabile o maggiore).

L’obiettivo è lo stesso di prima del referendum: creare il panico tra i cittadini e tra le imprese, perché si «rivoltino» contro il loro governo. Si tratta di una tecnica da colpo di stato. Dal canto loro, i governi e la commissione europea hanno reiterato il loro ultimatum e hanno lasciato capire che stanno preparando la «Grexit»: i Tedeschi, gli Olandesi, i Polacchi, con entusiasmo; i Francesi e, in una certa misura, gli Italiani, «malvolentieri».

In realtà, si tratta di ottenere dal governo Tsipras che richieda esso stesso quella che si definisce un’ «uscita dolce» o «negoziata» dall’euro (perché non c’è nessuna procedura di espulsione).

Si tratta di un ricatto e di un tradimento, di cui l’Europa intera pagherà a lungo il prezzo, se riuscirà a riprendersi. Ribadiamolo con forza: non vi è «Grexit» che non conduca, di fatto, all’esclusione della Grecia dall’Unione europea, in seguito alla quale si profilerà presto la disintegrazione di quest’ultima. Altrimenti ci sarà la colonizzazione, il protettorato del «Nord» sul «Sud».

Noi siamo tutti cittadini d’Europa, tutti responsabili quando i nostri dirigenti non lo sono, e dobbiamo manifestare con tutte le nostre forze e con tutti i mezzi contro quest’infamia accompagnata da una regressione storica di settant’anni.

* Professore emerito di filosofia all’Université Paris Ouest e alla Kingston University di Londra

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