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Venezuela: «Siamo in guerra economica, basta dialogare con chi sabota»

Venezuela: «Siamo in  guerra economica,  basta  dialogare con chi sabota»Nel supermercato Plaza a Caracas: scaffali pieni, prezzi esorbitanti e pochissimi clienti – Marinella Correggia

Intervista L'economista Iván Carvajal Torres: «Non è vero che produciamo solo petrolio. Ma le filiere produttive sono in gran parte nelle mani di privati... La crisi dovrebbe anche far ripensare la cultura perversa del consumismo»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 10 marzo 2019

La «penuria», usata come scusa per favorire l’ingresso manu militari di aiuti Usa visto che «il dittatore affama il suo stesso popolo», dà piuttosto l’impressione di un sistema «sconvolto», quanto a prezzi e approvvigionamento. Ne abbiamo parlato con l’economista Iván Carvajal Torres, docente all’Istituto venezuelano di pianificazione.

Il blocco economico e commerciale internazionale spiega tutto della crisi di disponibilità – a livello di prezzi – di alcuni beni da parte della popolazione?

Nella penuria e nell’iperinflazione indotte, è determinante anche il sabotaggio da parte del settore economico privato interno: oligarchico, domina produzione, commercializzazione e distribuzione, oltre ai servizi finanziari, organizzando anche accaparramenti. La carta igienica di cui tanto si parla, per fare un esempio, è prodotta localmente da multinazionali, ma queste per sabotare l’economia immettono sul mercato interno meno prodotto, guadagnando in compenso su prezzi molto gonfiati. Tuttavia non va dimenticato che i venezuelani godono di servizi essenziali gratuiti o quasi (luce, acqua, trasporti urbani, scuola, sanità ai livelli di base) e di beni a prezzi sovvenzionati, si pensi ai pacchi del Clap (Comitati locali di approvvigionamento e produzione, ndr) che arrivano a sei milioni di famiglie, quindi alla grande maggioranza della popolazione. Quando il prezzo del petrolio che esportiamo è precipitato, lo Stato ha scelto di mantenere la priorità agli investimenti sociali. Parallelamente è stata ridotta la quantità di valuta assegnata al settore privato per importare prodotti finiti e materie prime.

Che fare contro l’iperinflazione, che comunque non riguarda molti beni essenziali distribuiti dal settore pubblico?

È uno dei punti più deboli del paese: abbatte il potere d’acquisto. È indotta. Non si spiega tanto con l’emissione di moneta per finanziare il deficit pubblico, quanto con il fatto che la speculazione per anni ha fissato i prezzi interni su un tasso di cambio dollaro-bolívar manipolato dall’esterno. Dovrebbe aiutare molto la recente decisione governativa di liberalizzare il cambio del dollaro, proprio per sfiancare la circolazione illegale alla quale però si rivolgevano tutti. Ora il cambio ufficiale è perfino superiore all’altro. Fino al 2013 l’inflazione era accettabile, intorno al 19%-21% all’anno, ma dopo la morte di Chávez si sono acuiti i piani di distruzione del potere d’acquisto reale dei salari, per indurre una rivolta contro il governo. Non è successo, la popolazione ha capito. Il governo bolivariano ha aggiustato il salario minimo dei lavoratori cinque volte negli ultimi sei mesi, da 1.800 bolívar a 18.000.

Ma come funzionano accaparramento e corruzione, particolarmente gravi nel caso dei farmaci, malgrado gli arrivi daI paesi che non aderiscono alle sanzioni occidentali?

I prodotti essenziali, anche quelli sovvenzionati dallo Stato, vengono accaparrati da privati e rivenduti dai cosiddetti bachaqueros a prezzi molto più alti, dentro il paese o anche fuori. Comprano in divisa e rivendono. Il presidente Chávez aveva introdotto la soprintendenza per la protezione del consumatore (Sunnde), ma non riesce a essere efficiente.

Che fare contro questo mix di oligarchie private e settore informale incontrollabile?

Più controlli e sanzioni pesanti contro la corruzione, a tutti i livelli. E il settore privato dovrebbe essere obbligato a rispettare la Ley de precios justos che regolamenta i prezzi per i generi di prima necessità. Il governo è stato finora blando per timore di rappresaglie. Ma siamo in guerra economica e occorrono misure decise, altro che dialogo con chi sabota e fa il gioco degli Usa.

È possibile sfuggire alla dittatura del dollaro?

È necessario. Il Venezuela ha creato il Petro, una cripto-moneta ancorata al barile di petrolio, come unità di conto e mezzo di pagamento, in prospettiva. Naturalmente questo attira gli strali imperiali.

Il petrolifero Venezuela non è certo esente dal consumismo. Filiere produttive e di consumo non speculative e sostenibili sono nei programmi?

Non è vero che il Venezuela produce solo petrolio. Ma le filiere produttive sono in gran parte nelle mani di privati – in America latina «lavorano» tutte le multinazionali possibili. Ci sono comunque anche imprese recuperate dallo Stato e dai lavoratori, alcune non funzionano altre sì. Moltiplicando queste ultime, risolveremmo i problemi di approvvigionamento. Sarebbe già un trionfo che i prodotti distribuiti dal Clap (cereali, legumi, latte in polvere, ecc.) arrivassero tutti dal settore extra-capitalistico. Bisogna diversificare l’economia. Perché non si fanno farmaci generici? Con le comunas, poi, l’obiettivo è che la gente torni a coltivare e trasformare. Dobbiamo anche cambiare davvero le relazioni fra capitale e lavoro: un mese di lavoro deve essere sufficiente ad acquisire i beni necessari per la sussistenza. Ma la grande crisi dovrebbe anche far ripensare la cultura perversa del consumismo.

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