Valerio De Stefano, docente di diritto del lavoro all’università di Lovanio, il decreto dignità è una Waterloo del precariato o un boomerang che aumenterà la precarietà?
In realtà non è né l’uno, né l’altro. È una misura limitata che riguarda solo una parte del precariato, tra l’altro nemmeno la più vulnerabile in Italia. Ricordo che i lavoratori a tempo determinato godono comunque delle tutele riservate alla subordinazione per quanto la presenza di un termine renda i loro rapporti meno stabili. Il precariato riguarda anche le false partite Iva, i finti stage, il lavoro mascherato da volontariato, le false cooperative, i subappalti selvaggi. Di tutto questo il “decreto dignità” non si occupa. Con buona pace del ministro Di Maio la Waterloo del precariato è ben al di là da venire.

Si dice che, dopo tanti anni di neoliberismo, almeno c’è un’inversione di tendenza. Basta questo?
L’idea di limitare gli abusi della flessibilità è un’idea positiva e non va demonizzata. Non va automaticamente ricondotta a una diminuzione o a un’aumento dell’occupazione. Per il momento, però, la strategia del governo è confusionaria. Certamente scambiare una maggiore regolamentazione regole del contratto a tempo determinato con la reintroduzione dei voucher non è un passo avanti.

Ha ragione Boeri per cui la stretta sui contratti a termine porterà a un aumento delle cessazioni dei contratti o il governo per cui questa idea “non è scientificamente fondata”?
Boeri anticipa che ci saranno delle cessazioni di contratto, esprime un’opinione con stime che possono essere più o meno condivisibili. A questi rilievi il governo oppone ben poco, nel senso che al di là delle minacce e dei commenti sgradevoli sulle persone, inaccettabili quando si parla di opinioni tecniche, il governo non ha preparato stime diverse. Avrebbe anche potuto sostenere che uno degli scopi della norma è limitare gli abusi dei contratti precari. E quindi che può anche portare a un minimo aumento della disoccupazione, ma se in generale c’è una più forte tutela di tutti i lavoratori, allora questa potrebbe essere anche una controindicazione accettabile. Ma non l’ha fatto.

A sinistra si sostiene che questo provvedimento porterà a un aumento dell’occupazione. Lo pensa anche lei?
Bisogna evitare di pensare che l’aumento o la diminuzione dell’occupazione siano deterministicamente e matematicamente correlate alle protezioni giuslavoristiche. Non dispongo di dati certi, e non credo esistano in questo momento, per ritenere che il decreto aumenterà o diminuirà l’occupazione. Oltretutto questa non è l’unica prospettiva su cui basare le riforme del mercato del lavoro.

Ne esiste un’altra?
Quella relativa alla qualità del lavoro esistente. I livelli di remunerazione, la salute e la sicurezza, l’accesso alla formazione, alla rappresentanza sindacale, ad esempio. I lavoratori a tempo determinato, in somministrazione, e tutti gli altri “atipici” hanno minori salari a parità di lavoro, nonostante che la normativa vigente lo vieti, scontano rischi sulla salute e sulla sicurezza maggiori e hanno più timore a sindacalizzarsi rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato.

Il decreto dignità si occupa di tutto questo?
No. E nemmeno i suoi critici. Anzi, non se ne occupa proprio nessuno e questa è una mancanza grave del dibattito in corso. I critici e i sostenitori del decreto, a destra come a sinistra, si stanno occupando solo dell’aspetto quantitativo dell’occupazione ma non affrontano in alcun modo le questioni connesse alla qualità del lavoro.

Come spiega la reazione esagitata delle imprese contro il decreto?
È una reazione dovuta al fatto che per giorni non si è capito cosa ci fosse davvero nel testo e che cosa delle nuove regole si applicasse ai rapporti in corso. Questo ha reso più difficile la programmazione delle aziende. Ma il loro allarmismo, e quello dei commentatori mainstream, è del tutto sproporzionato. Le nostre regole sul lavoro a termine sono comunque molto flessibili rispetto ad altri paesi europei. La presenza di causali, o la necessità di ricorrere al lavoro a termine solo se esiste un’esigenza temporanea, è un elemento che si ritrova nella legislazione di molti paesi avanzati e non ha nulla di assurdo. Se, però, la comunicazione da parte del governo e la riflessione della maggioranza su questi temi si limita a slogan inconsistenti come quello sulla Waterloo è molto difficile fare emergere qualsiasi elemento positivo dalle riforme.

Cosa fare per sgonfiare il record dei contratti precari creato dal Jobs Act?
Offrire incentivi mirati e quindi non a pioggia per la creazione a tempo indeterminato è una possibile ingrediente di policy. Senza che però questo droghi il mercato spingendo i datori di lavoro ad aspettare le cicliche decontribuzioni per assumere stabilmente. Dall’altro lato, la causale non è un tabù, è prevista nelle legislazioni di altri paesi europei. Inserirla dopo un primo contratto acasuale è un buon compromesso tra flessibilità e esigenza di stabilizzazione. Quello che bisognerebbe fare, e che finora non è stato fatto, è pensare a causali che riguardino non tanto il singolo lavoratore ma proprio la posizione lavorativa. Questo per limitare il turn-over, cioè vedere imprese che, una volta scaduto il periodo di acausalità, si rivolgono a nuovi lavoratori invece di stabilizzare i precedenti. Se un’azienda ha bisogno in permanenza di una certa posizione non deve potere coprire tale posizione sempre con contratti a tempo determinato, avvicendando nuovi lavoratori nella stessa posizione.

Di Maio ha annunciato incentivi alle imprese per la stabilizzazione e un taglio al costo del lavoro. Non è la prosecuzione delle politiche che il governo contesta?
È difficile commentare queste intenzioni di Di Maio su misure che richiederebbero coperture finanziarie significative se nemmeno su un decreto semplice come quello sulla “dignità” è stato possibile avere chiarezza fino al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il punto è capire a chi si danno gli incentivi e per cosa. Se sono a pioggia l’effetto sarà che le aziende assumeranno a tempo determinato per poi stabilizzare prendendo gli incentivi. Bisognerebbe invece legare gli incentivi alla creazione di nuovi posti di lavoro e possibilmente in settori con alto valore aggiunto. Dare incentivi indiscriminatamente vuol dire fare trasferimenti fiscali a favore delle imprese. Il che può essere anche legittimo, purché non lo si presenti come un regalo ai lavoratori.

Saranno ripristinati i voucher. Come si conciliano con la lotta al precariato?
Turismo e agricoltura sono settori vitali per la nostra economia, ma la presenza di manodopera flessibile non può andare a scapito delle protezioni che servono a tutelare i bisogni primari dei lavoratori. Se i voucher fossero la contropartita rispetto alle norme più stringenti sul lavoro a tempo determinato saremmo di fronte a un governo che si muove con il passo del gambero.

Dal decreto dignità è stata rimossa l’estensione della subordinazione ai lavoratori digitali. Di Maio ora vuole fare un contratto nazionale dei riders. Cosa ne pensa?
Se soddisferà sia i lavoratori del settore che le piattaforme è un’idea apprezzabile. Però vanno prima capiti i contenuti del contratto e il suo campo di applicazione. Se anche non si volesse modificare il criterio della subordinazione ai lavoratori digitali, come sembrava dalla bozza iniziale che però procedeva addirittura per decreto legge e non per legge ordinaria, bisognerà occuparsi dei compensi dei lavoratori, dell’eliminazione del cottimo, della tutela della salute e della sicurezza dei fattorini, e della loro protezione in caso di malattie, incidenti e maternità. È fondamentale che la contrattazione riguardi i criteri con cui operano gli algoritmi che controllano la prestazione. Bisogna negoziare l’algoritmo.