Un’altra defezione ha colpito la Casa Bianca: a rassegnare le proprie dimissioni è stato il consigliere economico di Trump, Gary Cohn.

Non si tratta di una dimissione come un’altra: a renderla peculiare è la ragione che ha spinto Cohn ad andarsene sbattendo anche un po’ la porta, ovvero l’introduzione dei dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio voluta da Trump.

COHN, EX NUMERO DUE di Goldman Sachs, era già stato a un passo dalle dimissioni lo scorso anno, a causa della mancata condanna di Trump alle manifestazioni suprematiste bianche e neonaziste di Charlottesville, e anche la sola ipotesi di questa eventualità non era stata presa bene dai mercati che si sentivano rassicurati dall’influenza internazionale e pragmatica che il consigliere esercitava sugli afflati populisti ed estremisti del Segretario al Commercio Wilbur Ross, dell’economista direttore del consiglio per il commercio nazionale della Casa bianca, Peter Navarro e del capo negoziatore degli Usa nelle trattative commerciali Robert Lighthizer. I tre sono tutti convinti fautori del nazionalismo economico che non può, però, essere tollerato da un attore politico ex banchiere ed investitore di Wall Street come Cohn; forse finché si trattava di una mancata condanna al suprematismo bianco poteva anche stringere un po’ i denti, ma su una questione a lui davvero cara, come il libero scambio, non ha potuto transigere.

CON LE DIMISSIONI di Cohn all’ala più globalista della Casa bianca, meno legata al mantra dell’America First, contraria a dazi da imporre a tutti i Paesi, dall’Europa alla Cina, resta l’appoggio dal capo del Pentagono James Mattis, che vede il rischio di inasprire i rapporti delicati con Pechino e Mosca e di compromettere anche i legami con i Paesi alleati, con tutto il seguito di ripercussioni economiche e della sicurezza che questo comporta.

Le dimissioni di Cohn sono state prese da Trump con ostentata indifferenza e durante la conferenza stampa con il premier svedese Stefan Lofven, ha dichiarato che non sarà un problema sostituire il consigliere economico dimissionario: «Credetemi: tutti vogliono lavorare alla Casa bianca», ha dichiarato Trump.

DOPO AVER ESPRESSO questa convinzione, The Donald si è scagliato contro l’Unione europea, nonostante la presenza dell’attonito Lofven; a detta di Trump la Ue è «stata particolarmente dura con gli Usa, rendono quasi impossibile per noi fare business con loro».

Ha poi precisato che se l’Europa attuerà le rappresaglie paventate da Bruxelles, lui rincarerà la dose. «Possono fare quel che vogliono – ha tuonato – Ma se lo fanno, noi imporremo una grande tassa del 25% sulle loro auto e credetemi, non lo faranno a lungo». Trump ha però rassicurato dicendo che i dazi verranno applicati «con molto affetto», cosí che gli alleati ed i Paesi colpiti «ci ameranno di più e ci rispetteranno molto di più». La risoluzione di Trump sembra il segno di una svolta ancora più populista, per far dimenticare alla sua base la serie infinita di scandali, polemiche e caos che sta caratterizzando la sua presidenza, con l’approcciarsi delle elezioni di midterm a novembre.

IN QUEST’OTTICA si può leggere la drastica decisione del dipartimento di giustizia di denunciare la California perché «difende gli immigrati», e il suo governatore democratico Jerry Brown, perché si oppone all’agenda di Trump attraverso le cosiddette «leggi santuario» per le città che si rifiutano di adeguarsi alle leggi federali che chiedono di consegnare i migranti irregolari.
Ma in California Trump ha anche un’altra grana legale: la pornostar Stormy Daniels gli ha fatto causa in quanto sostiene che l’accordo sottoscritto per mantenere il silenzio sulla loro relazione, visto che manca la firma del presidente, non sarebbe valido.