Per chi porta avanti ogni giorno desideri e lavoro perché una nuova stagione, una nuova generazione, con nuovi protagonisti, si affacci nelle stanze del piccolo laboratorio che chiamiamo il manifesto, la perdita di Benedetto Vecchi rappresenta una ferita difficilmente rimarginabile. Che, nonostante la lunga malattia, alla fine è stata così improvvisa da smentire ogni speranza.

Restiamo incapaci di pensare che questo sia il modo di cominciare un anno nuovo. Morire in un giorno terso di sole splendente, il giorno della Befana poi…ne avrebbe sorriso con la sua ironia sottaciuta, ammiccante.

Ho avuto il privilegio di conoscere Benedetto quando giovanissimo approdò alla Cooperativa Il Manifesto Anni ’80, l’organismo del giornale voluto da Rossana Rossanda per fare la sortita necessaria dalle difficili condizioni del manifesto giornale, dopo una ennesima rottura interna e soprattutto dopo i terribili anni Settanta.

Quando, come capita spesso, il ruolo e l’originalità del giornale erano cresciuti ma tutto era accaduto in modo inversamente proporzionale alle vendite. Tra gli argomenti della sortita, per costruire intorno al manifesto una “società politica”, insieme ai temi dell’ambiente, della nuova anti-psichiatria basagliana, al giustizialismo (al quale contrapponemmo la rivista Antigone), alla cucina del Gambero rosso, alla lettura che faceva nascere la recensione come forma di scrittura a sé con l’avvio de L’Indice, ci fu l’informatica che cominciava già a pervadere ogni cosa.

CON FRANCO CARLINI – ideatore poi dell’inserto Chip&salsa -, Benedetto Vecchi fu protagonista di questa stagione. Grazie anche a lui che guidò i corsi di informatizzazione della redazione, il manifesto fu il primo quotidiano nazionale e credo anche europeo ad introdurre sulle scrivanie già dal 1984 i computer (Olivetti M24) al posto delle macchine da scrivere (che invece sarebbero rimaste sul tavolo di Luigi Pintor e di Valentino Parlato). Non era lavoro teorico ma pratica perfino manuale, con la fatica di dovere spiegare ai tanti recalcitranti il valore di saper padroneggiare quella scelta, da conoscere, controllare ed egualmente distribuire.

QUEL ROSSO ed esperto dunque, come nella migliore tradizione de il manifesto, chiedeva ora di entrare pienamente in redazione nella prestigiosa sezione Cultura. Bisognava tessere i fili del nuovo con gli sconvolgimenti in atto della politica e del lavoro produttivo che vedeva scompaginata la sua composizione di classe. Che cosa sarebbe accaduto dopo il ’68 e il ‘77? Di questo Benedetto è stato esploratore attento e diretto, trasformando la tecnica dei processi materiali in altrettanta costruzione di ricerca teorica.

«POST-OPERAISTA» hanno scritto di lui, e certo riconosceva se non altro all’operaismo italiano il merito di avere visto per primo l’avvento dei processi di automazione nel lavoro, ma quella trasformazione insisteva a ricondurla ad un «fattore umano», quello della nuova realtà di classe dalla quale era difficile prescindere mentre il lavoro stesso diventava anche immateriale. Su questo ha lavorato una vita, questa è stata la sua specificità.

Io lo prendevo in giro per questo, gli avevo dedicato un epigramma che diceva “Armonie buie/ rabbie oscure/ toni negri” e lui mi rispondeva con un fraseggio insieme piccato ma amorevole “Tommi-Tommi…”, come per un dolce rimprovero.

Così come era attento a vedere in ogni dove la nascita di rivendicazioni se non proprio di movimenti. Negli anni Novanta introdusse nel dibattito sempre acceso in redazione l’intercalare: «Il movimento è carsico»; parlava del lavorio sotterraneo che fanno le coscienze di massa per emergere. Se lo fanno.

IL SUO È STATO un rigore polemista che ha condotto fino all’ultimo: a dicembre, pochi giorni fa, sul manifesto è tornato sul Caso Assange mettendo in evidenza, oltre alla necessità di liberarlo, anche le sue ambiguità «individualiste»; ha recensito con acume il libro intervista di Marco Revelli sul ’turbopopulismo’, insistendo sulla necessità di approfondire la natura di classe dei fenomeni connessi e interloquendo sul giornale proprio con l’autore; ha scritto un saggio fondamentale sui limiti dell’onnipresente intelligenza artificiale per la rivista Alternative per il socialismo.

FATICAVA a farsi ascoltare perché aveva mantenuto un rapporto diretto proprio con i movimenti che arrancano spesso inascoltati. Ma anche perché apparteneva alla generazione dei giovanissimi – dei quali era il più saggio ed anziano – che prendevano voce e parola appena dopo i cosiddetti giovani, quelli della mia generazione, quella dei “figli” dei fondatori della nostra storia che si avvia ormai ad avere 50 anni. Non era facile uscire dalle ombre e dalle parole matrici. Benedetto ha tentato di farlo e ci è riuscito, a voce bassa ma autorevole.

Deve essergli pesata la capacità innata di soffocare la rabbia. Quando parlava era impossibile non ascoltarlo. Con questo tentativo ha sostenuto lo spirito eretico che ci appartiene. Questa è la mancanza più forte che già sento per tutti noi.

SE IL MANIFESTO dopo tante frizioni e rotture esiste ancora, e per tutti, lo si deve anche al fatto che una personalità dalla passione teorica come Benedetto si sia rimboccata le maniche – come ha scritto Norma Rangeri – e abbia intrapreso l’impegno rognoso, improbo, insopportabile – di amministratore della nuova cooperativa, fino a portarla al risultato straordinario del riacquisto della testata, con il quale siamo tornati, speriamo, protagonisti del nostro destino. Proprio ora senza di lui.

MI PIACE ricordarlo non solo con le foto di gruppo della redazione ma con una immagine di fotografia cartonata che ho visto nella sua casa piena di libri, in questi giorni di lutto e consolo, della quale mi hanno parlato Laura, la compagna di una vita e la figlia Marianna: sono tutti e tre insieme a Venezia, sullo sfondo il campanile famoso; ridono, Marianna lo bacia e Laura si fa come sostenere. E Benedetto, come mai felice, si apre ad un sorriso luminoso e sembra accennare ad un gentile passo di danza.

«La piatta forma del loro capitale/ non aprirà mai il lucido portale/ di quanto vale, prima del salario/ il tuo sempre cercare il sale». Addio caro compagno, addio amico mio.