È giusto abolire le tasse universitarie? In Germania questa domanda risuona ad ogni campagna elettorale per il rinnovo dei parlamenti regionali. L’istruzione è competenza dei Länder, e generalmente è uno dei temi su cui si accendono le maggiori controversie politiche, in un Paese in cui le differenze fra i vari partiti spesso sono difficili da riconoscere. In questo caso, invece, c’è una distinzione netta: le forze che si collocano «a sinistra del centro», Spd, Verdi e Linke, sono per la gratuità negli studi universitari, quelle del versante destro, Cdu/Csu, liberali della Fdp e nazionalisti della Afd, sostengono invece che si debbano pagare.

L’ultimo Land in cui si è votato, la Bassa Sassonia, ricca regione dell’ovest con capitale Hannover, lo ha chiaramente mostrato ancora una volta. Il presidente socialdemocratico uscente Stephan Weil ha fatto dell’abolizione delle tasse universitarie una bandiera del suo governo con i Verdi. Ora amministra con i democristiani, ma sul punto nulla è cambiato. Un «dettaglio» significativo: durante la campagna elettorale, le organizzazioni della società civile mobilitatesi contro la Afd indicavano proprio nella proposta di reintrodurre le tasse per gli studenti uno dei motivi fondamentali per non votare i nazionalisti.

L’eliminazione di tali contributi fu uno dei simboli della svolta «epocale» nel prospero e conservatore Baden-Württemberg, espugnato nel 2011 per la prima volta da Verdi e socialdemocratici dopo decenni di incontrastata egemonia democristiana. Attualmente il presidente ecologista Winfried Kretschmann, leader dell’ala moderata dei Grünen, governa con la Cdu: l’asse è più a destra, ma nel «contratto di coalizione» con i democristiani valido per la legislatura 2016-2021 è scritto esplicitamente, a scanso d’equivoci, che «le tasse universitarie non verranno introdotte». Quando il partito di Angela Merkel è il partner minore, quindi, sulla questione-università a dettare legge sono le forze progressiste. Con buona pace di uno dei più influenti think tank in tema di istruzione superiore, il neoliberale Centrum für Hochschulentwicklung (Centro per lo sviluppo delle università), secondo il quale la partecipazione degli studenti al finanziamento dei loro atenei è lo strumento giusto per migliorarne le condizioni economiche. Molto migliori, in ogni caso, di quelle italiane.

Ad onor del vero, le tasse universitarie sono state abolite dal 2013 anche nell’ultra-conservatrice Baviera, dove un’imponente mobilitazione studentesca portò a raccogliere le firme per un referendum che il governo di Monaco temeva di perdere. Per evitare lo smacco, la Csu fece buon viso a cattivo gioco e cedette alle proteste. E così, oggi praticamente non è rimasto nemmeno un Land che preveda una contribuzione generalizzata da parte degli iscritti, ma in alcuni vige qualche restrizione. Ad esempio, a Brema e in Sassonia i fuori-corso pagano 500 euro a semestre, in Renania-Palatinato la seconda laurea ne costa 650 a semestre. A Berlino e Amburgo, città con rango di Land, tutti gli studenti, senza eccezione, se la cavano con 50 euro a semestre per spese di immatricolazione.

Un quadro decisamente favorevole, che si completa con un robusto sistema di sostegno a chi studia. Uno degli strumenti principali è il prestito d’onore Bafög, pari in media a circa 460 euro al mese, molto diverso dai prestiti-capestro in voga negli Stati Uniti: in sostanza, chi dopo la laurea è in difficoltà economiche è esentato in maniera totale o parziale dal ripagarlo (si comincia a farlo comunque cinque anni dopo averne beneficiato). Nel 2016 ne godeva il 20% degli studenti tedeschi. Ci sono poi ovviamente borse di studio delle quali non va restituito nemmeno un centesimo: ad erogarle sono molte fondazioni ad hoc, fra cui anche quelle legate ai partiti politici, come la Fondazione Rosa Luxemburg vicina alla Linke.