Manuela ha undici anni, è la notte prima della partenza per la colonia e non riesce a dormire per l’emozione. Non vede l’ora che suoni la sveglia per prendere il treno che da Bologna la porterà a Dobbiaco per due settimane. Pensa agli amici, ai giochi, a quanto si divertirà. È felice, sogna e immagina quello che farà. Vorrebbe che il tempo corresse veloce. Ricorda la colazione, il viaggio in auto per raggiungere la stazione: il caldo, le cicale, il profumo della mamma mescolato a quello delle sigarette di papà.

Poi, finalmente, è sui binari ad aspettare. L’ha immaginata così Elena Simonini, una degli 85 volontari della maratona di narrazione popolare che oggi la racconterà in piazza Medaglie d’oro, davanti all’atrio della stazione, la storia di Manuela Gallon, morta, insieme alla madre, in seguito alle ferite riportate nella strage del 2 agosto. Giampaolo Liberti ricorderà Mauro Di Vittorio, 24 anni, partito in nave per Londra, ma che alla frontiera è stato fermato e rimandato indietro perché non aveva abbastanza denaro per mantenersi, e che il 2 agosto si trovava in stazione. Tutti lo credevano in Inghilterra e solo il 10 agosto la famiglia e gli amici hanno saputo la verità. Una vicenda che ci ricorda come trentasette anni fa i respinti fossimo noi e che ha tanti tratti in comune con i profughi rispediti indietro alle frontiere europee.

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QUESTE E OLTRE OTTANTA «biografie» rientrano nel progetto Cantiere 2 agosto. 85 storie per 85 palcoscenici, che darà voce e corpo a ognuna delle vittime (voluto dall’assemblea legislativa regionale e dall’associazione dei famigliari delle vittime, con la regia di Matteo Belli, curato insieme alla storica Cinzia Venturoli). L’appello per reclutare gente comune che volesse adottare una vittima per farla rivivere nella memoria collettiva è stato lanciato a dicembre e la scelta dei narratori è stata fatta in base alle affinità e all’empatia con le biografie di chi ha perso la vita. Questo ha creato vicinanza e ha amplificato il valore dell’intero progetto: trasmettere con umanità i sogni, i progetti e le vite interrotte di tutte le persone che si sono trovate lì, allo scoppio della bomba. Dalle 11 di oggi e fino alle 23 ogni protagonista incarnerà il suo personaggio per ben dodici volte, allo stesso minuto di ogni ora. Le narrazioni sono divise in dodici percorsi che toccheranno vari luoghi, dall’atrio della stazione, alla piazza sotto l’orologio fermo alle 10.25, dai centri anziani alle scuole.

IL NARRATORE PIÙ ANZIANO compie oggi 84 anni, la più giovane è del 2000. Due guide accompagneranno il pubblico, i monologhi, di non oltre cinque minuti, saranno duri, ma anche lirici ed ironici. «I testi, evocativi e simbolici, hanno dato vita a una piccola Spoon River che ci riguarda tutti da vicino – spiega il regista Matteo Belli – Il due agosto è una ferita aperta oltre che per i familiari per tutta la città che ha partecipato a quel dolore, tutti ricordano esattamente dove si trovavano e cosa facevano in quel preciso momento. Molti hanno avuto amici, parenti, conoscenti coinvolti o che hanno mancato la strage per un soffio. Ho avuto l’esigenza di non costruire uno spettacolo teatrale, ma allargare l’esperienza a narratori popolari, persone che spontaneamente si prestassero a diventare ricercatori di storie, poi autori di testi, narratori orali, interpreti e attori. È una forma di teatro in strada aperto alle persone, un impegno individuale dei cittadini, dove la narrazione è uno strumento educativo e di civiltà. Cinquanta donne e trentacinque uomini hanno dimostrato che chiunque può diventare testimone, non rivolto solo al passato ma con un impegno coniugato al presente che faccia da ponte per le generazioni future. Per trarre da questa lezione tragica una linfa vitale di responsabilità civile, in cui ognuno può contribuire». «Approfondendo le biografie sono emerse notizie e si sono riallacciate relazioni interrotte con alcuni parenti – continua il regista – Siamo qui per ricordare queste persone come se fossero vive, e per non abituarci alle stragi che accadono quasi quotidianamente. Non vogliamo rischiare di piegarci a una sorta di anestesia. Sarà una maratona anche in senso metaforico, in cui manifesteremo una certa resistenza» (in una città medaglia d’oro per la Resistenza e dove il passaggio simbolico del testimone ai narratori il regista l’ha consegnato proprio davanti al sacrario dei caduti partigiani di Bologna e provincia, ndr).

IL PROGETTO È NATO dopo il lavoro di ricerca sulle storie delle vittime fatto lo scorso anno «abbiamo messo a disposizione dei narratori quei documenti invitandoli a cercare altro materiale che servisse a creare un racconto – spiega la storica Cinzia Venturoli – l’unica regola era rispettare la verità storica, anche se in molti casi si è lavorato sull’immaginazione e i sogni, come per la vita di Angela Fresu, che nell’’80 aveva appena tre anni. 85 è un numero, si è voluto sapere chi c’era dietro quel numero, le biografie, cosa hanno lasciato le persone, le loro vite spezzate. Come accade nei laboratori nelle scuole, c’è stato un processo di immedesimazione. Quelle persone eravamo noi, potevamo essere noi. Così possiamo capire cos’è davvero una strage, entriamo in empatia. E come quel 2 agosto di trentasette anni fa, la società civile ha deciso di stringersi di nuovo attorno alla strage: all’epoca tutta la cittadinanza si strinse attorno alla vittime, scavando, ospitando i familiari, donando sangue, trasportando feriti. Lo stesso accadrà quest’anno. C’è una sorta di paura di cadere nella retorica, di una memoria impaludata, ferma, soprattutto per chi non c’era, chi è nato dopo. Per i testimoni è più facile, ma oggi la strage è lontana e si è interrotto il passaggio della memoria familiare. Questo progetto è un esempio di public history, ossia narrare al grande pubblico restando fedeli e rigorosi alle ricostruzioni, ma non in modo accademico per attivare l’attenzione dei cittadini».

DI QUESTO «CANTIERE 2 AGOSTO» è entusiasta Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage del 2 agosto, «è importante aver rinnovato la memoria delle persone uccise attraverso il racconto delle loro vite drammaticamente fermate. Quest’anno tanti familiari in più hanno deciso di essere alle celebrazioni, molti non sono più transitati da Bologna per il trauma. Il progetto li ha toccati. È un’iniziativa stupenda che abbiamo subito accolto. Raccontare come quelle vittime avrebbero voluto trascorrere le loro esistenze, la storia del loro possibile futuro li fa rivivere». I testi di questa narrazione collettiva e popolare saranno raccolti in un libro che uscirà in autunno insieme a un dvd con i filmati delle 85 storie.

Oggi nel piazzale della stazione ci sarà anche lo storico 37, autobus urbano di linea, utilizzato come primo pronto soccorso mobile, poi servito al trasporto delle vittime. Il mezzo è fermo da anni in deposito, un pezzo di memoria storica della città.