Ora che vanno schiarendosi le nebbie degli schieramenti, con la prospettiva di una vittoria schiacciante delle destre, possiamo guardare in faccia la realtà. Sono anni, ormai, che il Partito democratico ha smesso di avere a riferimento non tanto la «classe operaia», quanto le «classi lavoratrici» tout court, rivolgendosi alla società tutta «in nome dell’eguaglianza», per «non lasciare indietro nessuno». Gli slogan si sono sprecati ma la sostanza è che, sparita dall’orizzonte ideale l’idea di una qualunque trasformazione e lasciato il funzionamento dell’economia ai mercati, che sono comunque «efficienti», il Pd, come i suoi omologhi europei, si è concentrato sulla difesa dei diritti. Fondamentali, certo, ma con i quali, da soli, non si può porre freno al capitalismo predatorio, che nuova linfa ha trovato con la globalizzazione e la generosa condiscendenza delle politiche neoliberiste.

Adottando una lettura distorta della società secondo la quale le classi erano superate – solo perché a ridursi era stata la classe operaia della manifattura industriale – il Pd ha fatto sua l’idea che erano i diritti che andavano difesi, nella società «liquida» senza classi. Non rendendosi conto che veniva configurandosi una ben più grave polarizzazione, non solo di reddito ma di ceto e status, con la compressione dei ceti bassi e medio-bassi e la «proletarizzazione» di alcune sue componenti.

Se fino alla crisi del 2008-09 le basi sociali del centro-sinistra e del centro-destra erano ancora, in parte, quelle «tradizionali», è con la risposta a quella crisi che prende piede una cesura. Il Pd, aderendo al rigorismo dell’austerity europea nel nome della responsabilità, scommette sui ceti medi, abbandonando di fatto le classi popolari, che se ne allontanano. Tra il 2008 e il 2013 i votanti calano da 37,9 a 35,3 milioni e sulla scena irrompe il Movimento di Beppe Grillo, che prende più del 25% dei voti, tanto che il Pd, in un centro-sinistra che pur resta appena maggioritario, perde 3,4 milioni di suffragi. È un movimento, quello dei 5 Stelle, che attrae chi non crede più al «sistema» e ai partiti, trasversale per composizione sociale.

Ma il Pd va al governo, senza modificare la sua agenda politica, anzi accentuandone alcune caratteristiche. E alle elezioni del 2018, quando i votanti calano ancora di 1,4 milioni, il Pd scende a meno di 6,2 milioni di voti, mentre i 5 Stelle trionfano con più di 10,7 milioni, raccogliendo consensi tra i ceti medi e medio-bassi delle periferie urbane e nel sud con parole d’ordine «egalitarie» e anti-sistema.

Da allora, poco è cambiato. Il Pd non ha mutato né direzione di marcia né ha allargato il suo perimetro sociale di riferimento, dimenticandosi, ancora una volta, di quelle classi popolari che ora, dopo aver visto sciogliersi come neve al sole le promesse del M5S, come non poteva non essere, guarderanno a destra, nella speranza di trovare un nuovo rifugio nelle parole d’ordine «sovraniste» e «identitarie» già della Lega e ora della destra radicale o resteranno semplicemente a casa, senza ormai alcuna fiducia che questa democrazia sia in grado di rispondere ai loro bisogni.

Perché il sistema sta in piedi anche senza il sostegno delle classi popolari. Il Pd si accontenterà di raccogliere gli stessi consensi, tra i ceti medi protetti. Così, senza più il riferimento pentastellato, si può prevedere che altri milioni di elettori si aggiungeranno agli astenuti. Se 2 su 3 di chi votò M5S si astenesse, si avrebbe un calo di 7 milioni (che porterebbe l’affluenza al minimo storico del 57%), che, però, farebbe comodo a tutti. Il M5S limiterebbe i danni (portandosi all’8%, in linea con le tendenze recenti). La destra, certo, farebbe man bassa, con un elettorato in crescita nelle percentuali ma non nei voti. E il centro-sinistra Pd-rosso-verde potrebbe anche farcela, con il Pd primo partito, al 24-25%.

Con tanti saluti a quanto servirebbe per dare risposte ai ceti popolari, aumentare i redditi da lavoro e le pensioni, ridurre disuguaglianze e povertà, eradicare lo sfruttamento sul lavoro, incidere sul disagio sociale. La destra raccoglierà i voti degli esclusi, dei rancorosi, dei sotto-proletari. «Oltre il fascio c’è solo lo sfascio» è uno slogan buono solo per chi è già «protetto», non per quelle frange che non hanno nulla da perdere. Il Pd e il centro-sinistra non hanno una proposta nuova, per gli esclusi di sempre. E portano ora sul groppo una responsabilità storica.