In un intervento pubblicato qualche giorno fa sul quotidiano francese «Liberation» piuttosto esplicito già dal titolo – L’errore storico della Mostra – François Aymé, presidente dell’Associazione francese di cinema d’arte e d’essai criticava duramente la politica della Mostra – e della direzione di Alberto Barbera – nei confronti di Netflix presente quest’anno in concorso con due film – tra i titoli migliori – The Laundromat e Marriage Story.

LA QUESTIONE è sempre la stessa, la distribuzione in sala non considerata nella linea della piattaforma – per questo a Cannes le produzioni Netflix non sono nella competizione. E ancora: l’algoritmo che penalizza alcuni film (quelli considerati di nicchia), gli incassi tenuti segreti – sia per la sala che per gli abbonamenti – e la questione delle tasse e dei reinvestimenti nelle cinematografie nazionali. Sono temi sensibili e reali così come è reale il mutamento già in atto nell’industria dell’immaginario con l’arrivo di nuovi colossi – primo di tutti Disney – rispetto ai quali c’è bisogno di nuove regole politiche che prendano avvio dai singoli governi – non invitare un film Netflix cambia poco le cose anche se in alcuni casi il passaggio festivaliero può avere un ritorno di prestigio (vedi lo scorso anno il caso di Roma) perché le questioni si giocano altrove.

Lo spiega benissimo Steven Soderbergh in questo suo nuovo film – su Netflix dal 18 ottobre – una lezione sull’economia mondiale della finanza contemporanea in cui i soldi sono diventati carta straccia, i titoli possono essere svalutati in un istante e il sistema off-shore dei «gusci vuoti» garantisce guadagni sempre maggiori senza tasse e senza rischi.

CON LA COMPLICITÀ di Antonio Banderas, Gary Oldman, e molte altre star – Sharon Stone, Matthias Schoenaerts – e soprattutto una magnifica Meryl Streep nuova (e battagliera) Statua della libertà, il regista in questo suo quasi musical tra Stati uniti e Cina e nei paradisi fiscali di Panama e West Indies restituisce brechtianamente l’attualità delle politiche neoliberiste globali, dell’America trumpiana, di agevolazioni massime sulle tasse che distruggono i cittadini, coloro che non si chiedono più – come dice sconfortata Ellen Martin (Streep) – chi sta al potere e di chi è la responsabilità di quanto patiscono.

A lei è successo che un’innocente gitarella in barca si è trasformata nella tragedia della sua pacifica vecchiaia: un’onda improvvisa e l’amato marito è affogato. Nessuna copertura – i proprietari della compagnia di trasporto avevano stipulato una polizza al risparmio con una compagnia che nelle scatole cinesi dell’off shore si è rivelata essere fantasma. Artefici dei miliardi –gli «ideatori» di questo sistema Ramon Fonseca (Banderas) e Jurgen Mossack (Oldman) sono arrivati al punto in cui persino a loro sfugge qualcosa – o quantomeno distolgono l’attenzione dal bel catalogo di criminali, cartelli della droga, trafficanti di armi che sono tra i loro clienti insieme a politici e a funzionari governativi di alto livello.

Intanto in smoking e Martini ci spiegano «dall’interno» – rivolgendosi direttamente al pubblico – dove è cominciato tutto questo: in America naturalmente, stati come Deleware dove mancano industrie e altri proventi cosa di meglio c’è per rilanciare l’economia che sfacciate agevolazioni fiscali? E mentre illustrano con dettagliata precisione la «vita segreta dei soldi» – i due risalgono alla preistoria quando funzionava con: Mucca compra banana ma non poteva durare a lungo. E se nei cambiamenti la democrazia ne è stata stritolata pazienza.

IL CARTELLO iniziale ci dice che The Laundromat è basato su una storia vera, Soderbergh ha lavorato sul libro (Pulitzer) di Jake Bernstein (sceneggiatura di Scott Z. Burns) Secrecy World sulla vicenda dei Panana Papers quando un «Joe Doe» interno rende pubblici circa 11 milioni di documenti della Mossack Fonseca, lo studio legale panamense, rivelando i nomi di molti miliardari mondiali, capi di governo, funzionari, politici e pubblici coinvolti nel sistema di evasione e di riciclaggio. Quello di Soderbergh però non è un film inchiesta, o meglio sì, che ne decostruisce le modalità proprio come scompone il meccanismo della truffa e la sua strafottenza con il potere della messinscena. Cosa di più efficace di quel 50% finzione/realtà? Godard insegna.