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Tu lo vuoi lasciare. Lui non lo accetta, insiste, vuole vederti ancora una volta. Tu ti lasci convincere, speri di poterlo far ragionare, di chiudere quell’ossessione per sempre. Per sicurezza, gli dai appuntamento in un ristorante. Che cosa c’è di più sicuro di un ristorante? È un luogo pubblico, un venerdì sera, non farà scenate, lì, pensi. E invece, la vita di Martina Scialdone è terminata proprio sul marciapiede davanti a quel ristorante dove era andata a cenare, stroncata da un colpo di arma da fuoco sparato dal suo ex, Costantino Bonaiuti, un uomo che la voleva e non accettava un suo no, un uomo che ragionava in termini di potere, altro che amore.
Ma prima, prima dell’epilogo sul marciapiede, lui aveva inveito contro di lei, aveva alzato la voce, allora lei si era rifugiata in bagno, sconvolta, lui aveva sbattuto i pugni sulla porta, e qui immaginiamo le urla, il terrore di lei, che pensava di essere al sicuro, e invece è in trappola. Non è ancora chiaro che cosa sia successo nel ristorante, se qualcuno abbia chiamato le forze dell’ordine, che sono arrivate, ma a omicidio avvenuto, se il personale abbia convinto Martina Scialdone a uscire per non disturbare gli altri avventori, se sia stata lei ad andare fuori per non dare fastidio. È in corso un’indagine.

COME SI COMPORTEREBBE ognuno di noi di fronte a un episodio del genere? Come reagiremmo vedendo una scena di violenza in un luogo pubblico, in strada? Se da una parte bisogna considerare con lucidità l’efficacia di un intervento diretto, perché quando hai a che fare con qualcuno pericoloso, o fuori di testa, è necessario sapere molto bene che cosa si è in grado di fare, dall’altra parte c’è un istinto, quella molla interiore che scatta spontanea per aiutare il soccombente. Ce l’abbiamo tutti, quell’istinto? Oppure in alcuni si è assopito, addormentato da un altro istinto, quello dell’auto conservazione? Ed è solo un istinto oppure il frutto di un comune sentire, di un’educazione, di un’atmosfera sociale che ti ha insegnato a farti i fatti tuoi, per non avere problemi?
La violenza contro le donne, e la violenza in genere, si dà il potere di agire quando la sanzione etica collettiva è debole o assente. Se cresci in un mondo dove fin da piccolo vedi, e ti insegnano, che amare non vuol dire picchiare, che i conflitti non si risolvono con botte o ricatti, che negli affetti non esistono padroni né servi, la sanzione sociale su certi modi di fare sarebbe palese, farebbe parte dell’humus relazionale. Siamo ancora lontani da ciò.

IL GOVERNO sta pensando di arginare episodi come quello accaduto a Martina Scialdone aumentando il controllo sul porto d’armi. Certo, meno armi girano e meglio è, ma non sarà quello a far finire i femminicidi perché il danno è prima, sta nelle radici dei comportamenti.
Alcuni anni fa, sulla piazza sotto casa, vidi un uomo prendere a pugni sulla schiena il figlio di circa undici anni. Accanto c’era la madre, che guardava in silenzio. Sulla piazza tutti osservavano, nessuno faceva nulla. D’istinto (ah, ancora l’istinto), corsi verso l’uomo e gli dissi: «Che cosa sta facendo? La smetta». Lui si fermò, mi guardò e disse: «Ma lei non sa che cos’ha combinato». Risposi: «Non si picchia un bambino» . Qualcosa gli scattò dentro. Smise e se andarono. Poi attraversai la strada, andai all’edicola e l’edicolante mi disse, con fare sornione: «Hai rischiato di prenderle, eh?». Una frase che equivaleva a un: «Sei proprio scema a immischiarti».
Non si tratta di essere eroi. Basterebbe non stare zitti, per cominciare. E comunque, da quel giorno ho cambiato edicola.

mariangela.mianiti@gmail.com