Il summit tenutosi ieri a Malta, tra i governi “volenterosi”, partiva da presupposti totalmente falsi. Per questo si è trattato di un evento mediatico. Tuttavia si può rintracciare un elemento positivo nel constatare che, dopo questo passaggio, Italia e Malta non terranno più in alto mare per giorni o settimane le imbarcazioni che operano salvataggi nel Mediterraneo centrale.

L’accordo raggiunto segna un ritorno a quando le imbarcazioni che operavano salvataggi non erano ostacolate nel portare a terra i naufraghi nel porto sicuro più vicino.

Non è poco, ma non ha molto a che fare con l’Europa, quanto piuttosto con un ritorno parziale alla legalità internazionale, se sarà confermata dai fatti. Un ritorno che segna una spartiacque importante con la stagione del razzismo di Stato che ha caratterizzato il precedente inquilino del Viminale.

Un ritorno parziale, tuttavia, perché le dichiarazioni della neo ministra dell’Interno italiana si chiudono con un plauso alla cosiddetta guardia costiera libica e al lavoro che sta facendo. Un plauso che avevamo sentito già pronunciare dal presidente del Consiglio, a poche ore dall’omicidio di un sudanese da parte proprio di quella guardia costiera. L’ottimismo di cui si fa sfoggio è ben poco giustificato, peraltro, se si guarda alla gestione concreta dei flussi in ingresso, dato che sul regolamento Dublino è tutto rimandato al vertice dei ministri dell’Interno di ottobre, le cui posizioni sono già note.

Inoltre è utile evidenziare che questa ripartizione, che riguarda solo i naufraghi, dovrà fare i conti con i dati degli arrivi via mare ben più consistenti su imbarcazioni autonome, soprattutto sulle coste spagnole e greche (Si vedano i dati del 2019 https://migration.iom.int/europe?type=arrivals, Italia 6579, Malta 2.260, Grecia 37.183 e Spagna 20.914). Quindi dovrà fare i conti almeno con i governi spagnolo e greco.

E’ bene anche ribadire che la discussione sulla gestione di flussi in entrata via mare e non solo, avviene sulla base della falsa evidenza che saremmo davanti a flussi straordinari. Una falsa evidenza che tutti danno per scontata e che continua ad essere l’argomento principale usato per giustificare la negazione dei diritti, la criminalizzazione dell’immigrazione e, perfino, le risorse destinate alle milizie libiche travestite anche da guardia costiera, alle quali vengono demandati i respingimenti decisi in Italia e in Europa.

I flussi straordinari, cioè quelli non programmabili perché derivanti da guerre, conflitti, persecuzioni e disastri ambientali, sono in aumento nel mondo, mentre in Europa sono in diminuzione da anni.

Anzi da lungo tempo non ci si occupa neanche di quelli programmabili, ossia per lavoro o ricerca di lavoro. Quindi non ci si può indignare se a gestire i flussi sono i trafficanti, visto che lo Stato ha rinunciato a farlo da tempo.

Sui rimpatri infine è meglio ribadire che non esistono formule magiche e i numeri saranno sempre gli stessi perché non rappresentano la soluzione al problema dell’irregolarità. La soluzione consiste nel prevedere forme d’ingresso per ricerca di lavoro e programmarle in numero adeguato, prevedere forme di regolarizzazione ad personam e consentire l’emersione di quelli che hanno un lavoro o una condizione di inclusione che permetta il rilascio di un titolo di soggiorno.

A queste evidenti contraddizioni dell’evento mediatico di Malta, è utile aggiungere che in Libia c’è una guerra in corso e che gran parte di questa discussione riguarda persone che arrivano da quel Paese: poiché sono 5 mila i prigionieri nei lager libici, gestiti dalle milizie grazie al razzismo elettorale italo europeo, basterebbe decidere di evacuarli in pochi giorni e ridistribuirli in questi Paesi volenterosi, Italia inclusa. Si tratta di piccoli numeri, a di essere umani che devono e possono essere salvati. Le cui vite vengono prima della propaganda!